You’re only as good as your last post on Twitter

C’è un mostro sotto al mio letto. Potete dire che non ve ne frega niente, ma quel mostro sta sotto al mio letto solo per caso, perché è di passaggio, di solito fa il giro, visita tutti, si stende sul pavimento sotto di voi mentre dormite, vi osserva, a volte vi sfiora. Molti non se ne accorgono, quando lo fanno è un buon momento per l’umanità intera, è una vittoria per tutti tranne per quelli a cui si palesa, che la notte inizieranno a dormire male sapendo che lui sta lì.

Abita qui da me da un poco oramai, ho provato ad ignorarlo, senza successo, come ho anche provato a parlarvene, senza successo di nuovo. Sono mesi oramai che ci provo, che apro il mio foglio bianco e lo guardo perché voglio descrivere questo mostro, lo so che per andarsene sta aspettando che io lo faccia. Ma niente, il foglio mi fissa di rimando e rimane dolorosamente vuoto, finché io non mi innervosisco, chiudo tutto e torno a fare quello che stavo facendo, con quello lì che continua a guardarmi, in silenzio, da sotto il letto.

Il punto è che è un discorso difficile e delicato, e se prendi dal lato sbagliato la strada che devi percorrere per parlarne lei ti butta fuori, nel burrone, ed hai perso.

Ci provo allora, iniziando da una direzione tranquilla, una di quelle strade sterrate che viaggiano parallele alla spiaggia, che ti offrono una bella vista pacifica sul mare, finché non ti infili in una galleria e non vedi più niente, devi essere bravo ad accendere i fari nel momento giusto, ma non so se io ne sono capace. Proviamo.

Il Motorsport è una categoria nobile. E lo è profondamente. La pista è un giudice totalmente oggettivo, il tempo sul cronometro non conosce corruzione umana. Come in quasi la totalità dei casi lo sport sta sopra ogni disputa tra gli uomini, tra i piloti, tra i tifosi: è imparziale, non vede oltre il casco, oltre la visiera. Sta troppo in alto per essere influenzato da commenti irrispettosi, classisti, razzisti o sessisti, è troppo superiore, è troppo diverso da ogni tipo di discriminazione per venire scalfito nel suo spirito, o anche solo influenzato nelle sue intenzioni.

E sia chiaro, luminoso come il Sole, che nessuna delle parole che dirò sarà riferita ad alcuni espliciti commenti insensati che si leggono su twitter o su altri social poco raccomandabili, pronunciati da persone che si sono svegliate la mattina decidendo di dare fastidio, di farsi quattro risate solleticando i punti deboli di chi è diverso da loro o semplicemente di dare sfogo al loro disagio. No, quelli meritano di finire nell’oblio, a ridacchiare nei loro angoli, ci sono battaglie che si perdono anche solo combattendole. E ne ho persino parlato troppo.

Dicevo che il Motorsport è una categoria nobile. Lo è sotto tanti aspetti, lo è nell’essere sempre fedele a sé stesso. Oltre i regolamenti, oltre chi vuole distruggerlo, lui ha un’anima che è intoccabile. Nessuna creatura è però perfetta, e la fedeltà, in determinati aspetti, non può che riflettere una cultura che appartiene non a lei ma a chi l’ha creata, a chi le ha dato forma. Nel caso specifico il motorsport diventa specchio di quella sottile convinzione inconscia, che diventa pericolosa consapevolezza da gestire quando si arriva all’atto pratico, che qualcosa, per essere davvero nobile, deve appartenere solo al genere maschile.

Arriva qui il difficile, perché quello che voglio dire è così sottile e fraintendibile che rischia di sfociare nella retorica. E io non ne ho nessuna intenzione, perché niente di quello scriverò ha la volontà di ricadere nel vittimismo, nel banale buonismo da quattro soldi. Questo è un argomento che va così oltre il motorsport che io a stento sono in grado di dargli voce. Ma credo che per una volta ci proverò, anche perché quel mostro sotto al mio letto a volte non smette di chiacchierare e darmi fastidio, e io vorrei solo dormire in pace.

Questo è uno di quegli argomenti borderline, che stanno sul filo del rasoio tra il non abusarne perché l’unico risultato sarebbe svilirlo e il doverne parlare tanto e a fondo, per sradicare il marcio a colpi di discussioni.

Il fatto è questo: c’è una sorta di clima intorno a come viene percepito il motorsport, una sorta di gas invisibile, basato, senza giri di parole, sul chi ce l’ha più lungo, perdonatemi la scarsa finezza, non fa per me. Quella orgogliosa convinzione che donne e motori vanno bene insieme solo se lei sta seduta sul sedile posteriore o distesa in posa sul cofano. Ecco, così è estremizzato, ma da qualche punto dovevo partire: stiamo già a 800 parole e ancora non avete capito dove voglio andare a parare.

Voi adesso potete mettervi una mano sul cuore e giurare che mai, voi mai, avete pensato queste cose, che davanti alla legge e alle stronzate dette in telecronaca siamo tutti uguali, che il tifo vale lo stesso per tutti, che non giudichereste mai nessuno.

Eppure io vorrei dirvi che dobbiamo stare attenti tutti, me compresa, perché le pieghe di questo argomento sono problematiche e diventano, in veloci momenti, ben visibili.

Ognuno ha la facoltà di dire e fare le cose che vuole, ma adesso vorrei invitarvi a pensare ad una cosa. Ci sono battutine e parole che fanno ridere, sono uno scherzo, fino a che, dopo mesi o anni durante i quali vengono ripetute allo sfinimento, semplicemente non lo sono più, non sono più divertenti. Da un determinato momento in poi iniziano a infastidire. Non perché hanno una scadenza come lo yogurt e nemmeno, di questo sono sicura, perché sono nate con cattive intenzioni o sono, di per sé, offensive. Il motivo è uno secondo me: ci sono concetti, idee, epiteti, etichette che, una volta affibbiate alle persone, si cristallizzano, si fossilizzano, e facendolo tendono a cambiare la loro natura e ad acquisire significati svilenti. Tanto che poi quando verranno usati assumeranno quella connotazione negativa che associamo alla derisione, specialmente se si tratta di vezzeggiativi declinati al femminile.

Siamo tutti un poco “pesanti” quando percepiamo che quello che diciamo o pensiamo non viene davvero preso sul serio per motivi che non dipendono da noi, di certo “non sappiamo farci una risata” e “non stiamo agli scherzi” se adesso ridere e scherzare significa essere incapaci di affrontare un disagio altrui.

Il maschilismo è davvero un problema di tutti, è un problema soprattutto di chi non vuole capire che toglierlo di mezzo è un impegno quotidiano. Bisogna cambiare qualcosa, perché non sta migliorando niente, e bisogna iniziare dalle frasette, dalle battutine, dai “che ci fa, tanto non faccio male a nessuno scrivendo due parole in croce”, perché sono loro la base su cui questa montagna inamovibile è ancorata. Sono dettagli, sono un poco come quelle piccole smagliature nei collant, che all’inizio sono quasi invisibili e tu le indossi comunque pensando che non fa niente, tanto non si vedono, ma poi alla fine della serata ti ritrovi con uno strappo che va dal ginocchio alla caviglia e non c’è più niente da fare, li devi buttare. Devi agire prima, quando è solo un piccolo buco, quando puoi ancora ripararlo. È una metafora un poco tirata, ma calzante… No, non l’ho detto davvero.

Il Motorsport è nobile, ma è in difficoltà sotto questo aspetto. Non è colpa sua, forse non è colpa di nessuno, ma ci vuole impegno. Ed io credo sinceramente che nel nostro piccolo correggere, o per lo meno riconoscere, alcune inconsce convinzioni basilari sia la base su cui costruire, così come scrivere post su Twitter senza usare “le tifose di” come dispregiativo potrebbe per iniziare essere un gigantesco passo in avanti. Forse è utile riflettere sul fatto che commentare con malcelato godimento “non ti fare sentire da quelle” quando compare un post idiota su un pilota, su una squadra o su una situazione, non rende il post meno idiota e soprattutto non rende chi lo ha scritto meno viscido. Spostare l’attenzione su chi potrebbe “offendersi” per qualcosa che viene scritto o detto non dovrebbe mettere in ombra il contenuto del concetto espresso perché forse, e dico forse, è semplicemente lì che sta il problema. Ancora una volta giurate con la mano sul cuore di non avere mai pensato che “tanto è una ragazzina” quando avete ricevuto un commento risentito a qualcosa che avete scritto, o “che ne deve sapere” quando vi è stato puntualizzato qualcosa, giuratemelo e io me ne vado.

Credo che si tratti di qualcosa che va oltre frasi scritte e poi dimenticate, si tratta di continuare a dare nutrimento a quel mostro che cresce e cresce, e che forse non darà mai fastidio a noi, perché lo starà dando a qualcun altro. Non risentire nell’immediato di qualcosa che la nostra società ha di profondamente sbagliato non significa che quel problema non esiste.

Sembra un concetto difficile lo so, ma se ci pensate davvero è in realtà molto molto semplice e se non capite perché, mi dispiace dirvelo, ma abbiamo, o meglio avete, un problema.

 

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