Il Cuore batte sempre a Monza
Per me Monza evoca da sempre emozioni e ricordi particolari, al di là dell’essere “il GP di casa”. Nel 1996 sedevo accanto a mio Nonno mentre guardavo quella gara, la prima di cui ho un ricordo nitido dall’inizio alla fine. Ricordo Hill che finiva fuori, Schumacher che andava a vincere, la sua esultanza con entrambi i pugni e questa folla immensa, il cuore rosso. Da quella gara non ho più smesso.
Il secondo ricordo è legato al videogioco con cui da bambino ho passato le giornate a sfondare la tastiera del pc di mio padre. Era solo una demo, ma ci giocavo mattina e sera. Quel gioco era il mitico Grand Prix 2 della Microprose e come detto era solo una versione dimostrativa, con una sola pista utilizzabile: Monza, appunto. L’auto? Quella Rossa col numero 27.
Il terzo ricordo è quello più recente, il primo evento motoristico a cui ho assistito dal vivo: Monza 2005. Non la migliore gara (e stagione) per la Ferrari, domenica avara di emozioni. Un mio amico ebbe 4 biglietti in regalo (!!!) per la tribuna Alta Velocità, quella dove staccano i piloti per entrare nella Prima Variante. Era l’ultimo anno dei V10. Prendemmo i biglietti per il treno notturno Napoli – Milano e partimmo. Sentimmo il boato delle monoposto che uscivano dai box per andarsi a schierare e i peli sulle braccia decollarono. Una roba mai sentita.
Con queste premesse torno a Monza dopo 12 anni. Per una serie di circostanze che non sto qui a raccontare, mi ritrovo a Milano quasi per caso. Esattamente domenica 3 settembre, il giorno del Gran Premio d’Italia. Avevo la domenica libera da impegni di ogni tipo e mi dico “quasi quasi vado a vedermi la Formula 1”. Questo accade il mercoledì prima della gara. Guardo sul sito dell’Autodromo cosa c’è ancora disponibile e già dalla quantità di “sold out” nei vari settori capisco che a Monza ci sarà circa un terzo della popolazione mondiale. Tentato dal settore Prato mi rinsavisco e decido di spendere un qualcosa di più per un posto nella tribuna interna all’ingresso della Parabolica: 165€, che rispetto ai prezzi visti per altri settori mi sembra un affarone.
Questa volta niente sabato perlustrativo, solo la domenica a disposizione per ambientarmi. Essendoci stato già tempo addietro, conoscendo i collegamenti, il parco e il layout del circuito, conto di avere meno difficoltà rispetto al caotico Norisring. Ma io sono ottimista nel DNA e spesso vengo smentito dai fatti. Arrivato alla stazione centrale di Milano mi metto alla ricerca di una macchinetta per fare il biglietto Trenord per la corsa speciale Milano – Biassono Lesmo. Milano è sempre stata una città molto brava a saper mascherare la sua disorganizzazione e a spacciarsi per “città dei grandi eventi”.
Girando per la zona che precede i binari incappo per puro caso davanti ad un banchetto con una scritta “qui i biglietti per Monza”. Nessuna freccia in altre zone della stazione, nessuna indicazione. Mentre altri malcapitati (per la maggior parte stranieri) litigano con le macchinette per comprare un biglietto che sulle macchinette stesse non esiste, caccio gli onestissimi 5€ per il biglietto e vado al binario dove il treno è pronto a partire. Riesco a prendere il treno delle 9:30 tra personale Trenord e Polizia che cerca di dare un ordine alla folla che si accalca per prendere suddetto treno e non aspettare quello delle 10.
Dopo 40 minuti di viaggio arrivo all’ingresso del parco dove c’è già una fila infinita per entrare. A giudicare dalla quantità di gente che vedo sbuffare e muoversi a piccoli passi, inizio a temere che si tratti dei passeggeri del treno delle 9, che sono ancora lì. Terrorizzato all’idea di rimanere mezza giornata in fila, seguo un gruppetto di persone che inizia ad incamminarsi al lato di tale fila. Per entrare ci sono almeno altri 4 punti che magari sono meno affollati, penso io, siccome la maggior parte degli spettatori saranno venuti con il mio stesso treno da Milano. Dopo aver circumnavigato le mura che costeggiano le curve di Lesmo e la Curva Grande (dove nel frattempo passano le Formula 2, con gran goduria per le mie orecchie), arrivo ad una piccola entrata, in fila con altre 20 persone massimo. Mi controllano il biglietto, la borsa (che non ho, Norisring docet) e passo. Sono dentro il parco di Monza dopo una coda esigua, mi sento una divinità.
Inizio a camminare fiero della mia intuizione, mi affaccio ai lati di una tribuna posta all’uscita della Prima Variante dove ancora corrono le Formula 2. Riprendo la mia camminata in direzione Parabolica e vengo fermato da un membro della disorganizzazione dell’Autodromo. “Dove stai andando? Non puoi passare, devi fare questa fila”, mi dice simpaticamente il membro. Guardo a destra e vedo un paio di milioni di persone in fila. Improvvisamente il mio morale da semidio scema fino al livello “Barrichello Austria 2002”.
Mi metto in fila in fondo a tutto ed inizia il supplizio. È qui che inizio a rimpiangere la fino a quel momento tremenda fila dell’ingresso per il Norisring. Una fila infinita, massimo 5 persone ai controlli per migliaia di persone. Secondo controllo biglietto e poi una terza fila per il secondo controllo borse (che non ho). A Monza si corre da quando hanno inventato i carri che vanno senza cavalli, ma a giudicare da come erano messi, sembrava che gli organizzatori fossero venuti a sapere dell’evento più o meno quando ho deciso io di comprare il biglietto e che si aspettassero sì e no 200 spettatori.
Riuscito a passare i controlli arrivo nella zona immediatamente alle spalle del paddock. Prima di mettermi alla ricerca della tribuna trovo il tempo per salutare prima il mio mentore Marco Di Marco, che non ha esitato a snocciolarmi aneddoti e fatti che riguardano le corse che seguiamo, oltre a dirmi i nomi di piloti che nessuno conosce, ma che tra massimo 5 anni vedremo in Formula 1. Saluto Marco.
Era già mezzogiorno passato e ancora non avevo minimamente preso in considerazione l’idea di andare ad accomodarmi in tribuna. Faccio un salto nella zona delle tribune dove sapevo di poter beccare altri personaggi che affollano Twitter. Riesco a incontrare e a scambiare qualche parola con colui che con molto coraggio pubblica i testi del sottoscritto, il signor Veloce. Nel frattempo si è fatta l’una e vengo invitato anche da Giro a darmi una mossa. Arrivo stranamente con largo anticipo alla mia tribuna, non senza aver prima visto per caso dei gioielli in movimento su ruote, come una Honda RA300 ed una carovana di Ferrari di ogni epoca, dalla 250GT a LaFerrari Aperta.
Trattandosi di tribune nuove, quei furboni dell’Autodromo hanno pensato bene di non fare “nuovi” cartelli. Grazie a Hülkenberg Dio sapevo come raggiungere la Parabolica da dentro e sono arrivato alla tribuna. Ovviamente le mie aspettative non erano altissime per quanto riguarda la qualità del posto. Una delle tribune più economiche (e parliamo di 165 euri, iva inclusa) ancora acquistabili. Devo dire che le aspettative, seppur molto basse, sono state più che rispettate.
Mi trovavo in corrispondenza del punto di staccata che precedeva l’ingresso della curva. Maxischermo direttamente davanti ai miei occhi, piccola porzione di circuito visibile ma comunque piacevole, con le monoposto che passavano abbastanza vicino ed abbastanza forte. Non dirò forse nulla di nuovo o di inaspettato se affermo che queste nuove Power Unit ibride fanno un rumore che fa un po’ ridere i polli. Persino le Formula 2 erano più rumorose. I brividi che davano i V10 (e persino il DTM) sono ben altra cosa. A farmi venire i brividi ci ha pensato il contorno a queste auto poco rumorose. Ero circondato da persone di tutte le età e genere vestite di un solo colore. Il Rosso.
Tutti insieme nello stesso posto per lo stesso motivo. Se a Berlino e Norimberga sono andato da “osservatore interessato”, a Monza sono andato prima di tutto come tifoso, tra i tifosi. È bastato il passaggio delle Ferrari durante i giri pre-schieramento a mandare in subbuglio le tribune. Chiunque, con i mezzi che aveva, fossero trombette, fischietti, le mani o solo la voce, accompagnava il passaggio delle Ferrari. Al terzo passaggio, quello prima dello schieramento, Vettel è passato finalmente con una mano staccata dal volante, salutando. È stato il tripudio. Erano “solo” auto dipinte di Rosso, che “semplicemente” passavano e noi eravamo “solo” tifosi. Ma era uno tsunami di emozioni, di quelle forti. Quando si dice la passione. La passione a volte non la puoi spiegare, la devi vivere e basta, gli altri non la devono capire per forza.
Le vetture si schierano, inizia l’inno di Mameli (ah Goffredo, perdona noi gente di questa epoca per le rivisitazioni moderne dell’inno…), passano le Frecce Tricolore (gente che vola a pochi centimetri l’una dall‘altra deve avere qualche rotella fuori posto, impressionante dal vivo che robe fanno) ed è subito “orgoglio italiano”. Cosa che per uno che vive all’estero ha sempre quel qualcosa in più.
Finita la gara (vi risparmio la cronaca di qualcosa già visto e rivisto, letto e riletto, pagellato e ripagellato) mi dirigo verso la prima uscita utile per entrare in pista. Dopo aver resistito alla leggerissima compressione della folla, prendo la Parabolica il più largo possibile per correre sotto il podio, che però becco solo di spalle.
Mi basta per sentire le parole in italiano del Wunderkind Vettel: “Stiamo arrivando”. Folla in delirio. Quando tocca ad Hamilton dire la sua, l’orgoglio italiano di cui sopra viene calpestato ed eclissato dalla quantità di fischi e urla di disappunto contro un avversario che ha “osato” vincere. Vorrei vedere Hamilton in rosso tra un paio d’anni solo per il gusto di vedere la stessa folla portarlo in trionfo come il messia. A cerimonie finite trovo il tempo per salutare Carla, Sara, Samuele. Gente con cui ci si scambia tonnellate di tweet al giorno e che finalmente vedo da vicino. Non può mancare un giro del circuito, passando per la Parabolica, quella vera.
Il tempo stringe, devo tornare a Milano. Devo passare di nuovo per la zona vicina al paddock e di nuovo sono costretto ad avere a che fare col delirio della disorganizzazione dell’Autodromo di Monza, con personale che urla e sbraccia per far spazio a delle auto appartenenti a diverse caste e cafoni arricchiti, mentre la plebe che si muove a piedi deve soccombere. Passato in qualche modo e con la scusa di tagliare la strada mi faccio a piedi la Variante Ascari, il Serraglio e le Lesmo in “contromano”. Arrivo finalmente al treno, dopo una camminata di almeno 40 minuti, solo grazie al senso dell’orientamento coadiuvato da Google Maps. Tornare a Monza è stato bello anche perché deciso spontaneamente. Dopo aver superato le interminabili file ho persino pensato “io qui non ci rimetto piede, mai più”. Arrivato in tribuna ho rinnegato questa negatività, circondato da tutto questo amore. Lasciando il circuito sono tornato su un più tiepido “mah, forse, chissà…”. A volte il cuore porta a fare cose che in verità odiamo fare, come stare ore in fila sgomitando per non farsi stritolare, perché sappiamo che alla fine “tanto dà tanto”. Non fa niente se l’organizzazione è da incubo o se la Ferrari non vince se poi il cuore ha battuto forte, anche solo per un attimo.
Ed il cuore a Monza batte forte. Sempre.