Vendetta

Sei un appassionato di Formula 1. Ma non un average tifoso. Sei uno di quei tifosi che segue ogni secondo di prove libere, di interviste, di pre e post gara, di analisi e analisi delle analisi. Sei uno di quegli instancabili che si sveglia alle 4 del mattino per vedere le prime prove in Cina, o addirittura alle 2 per quelle in Australia. Sei lo stesso che alla fine torna a letto, e dopo con due ore di sonno sulla gobba si alza, prende uno, due, centomila caffè e va a lavorare. Prendi l’auto e ti butti nel traffico della mattina, pensando con un neurone a quello che dovrai fare durante la giornata, e con tutti gli altri a quello che è successo in quell’ora e mezzo in pista, analizzando, riascoltando, traendo conclusioni. Sei lo stesso che arriva in ufficio e fa quello che deve fare, nel modo più attento e produttivo che conosce, per poi seguire in qualunque modo possibile le seconde prove libere, sul cellulare sotto il tavolo, sulla schermata del pc pronta a ridursi da sola a icona nel caso in cui qualcuno ti arrivi alle spalle, sul tablet seduto sulla tazza in bagno (“per un’ora e mezzo?” “Sì, scusa, ho mangiato pesante ieri sera”).

Sei il tipo di tifoso che legge tutti gli articoli che la giornalistica sportiva offre, e anche di più, perché il prossimo weekend (o week end, quello che preferite) di gara è troppo lontano. Sei quello che la sera, quando rientra dal lavoro, per frenare e imboccare lo svincolo autostradale stacca all’ultimo secondo possibile, per sentirsi un pochino più vicino a quei piloti che oramai sente come suoi amici del cuore. Sei un tifoso per cui è la cosa più normale del mondo non uscire nei sabato sera dei gran premi nord americani “perché ci sono le qualifiche”, o non andare al mare in estate la domenica “perché ho un impegno inderogabile”.

Sei uno di quegli ultras che benedice l’esistenza delle cuffie nel cuore della notte per non svegliare i coinquilini, o che è in grado di rimanere il più vicino possibile alla televisione nei momenti più concitati della gara, con gli occhi che tremano chiedendo pietà per la troppa vicinanza allo schermo.

Sei l’autolesionista di turno che dopo una gara andata malissimo magari se la rivede pure, per capire meglio e trovare qualche spiegazione, o comunque non spegne la TV finché tutti gli approfondimenti non sono finiti.

Sei tutte queste cose, e pure di più, e pensi che qualcosa significhi. Pensi di avere imparato in tutti questi anni quasi tutto quello che riguarda questo sport, e soprattutto pensi di meritare rispetto per questo.

Think again, clamorosamente la risposta è ‘no’.

Il fatto è che a questo punto sei troppo. Sei troppo attento, troppo preparato, ti ricordi troppe cose, fai troppi paragoni. Alla fine, insomma, pretendi troppo. Pretendi troppa giustizia, troppa competenza, troppa professionalità. Stai schiacciando chi si trova qui per caso, chi vuole solo un poco di spettacolo occasionale, un poco di hype, un poco di adrenalina che lo faccia rimanere in piedi sul divano per queste due orette, per poi dimenticarsi di questo sport fino alla prossima vittoria del Ferrarista di turno, quando potrà dire “lo sapevo, sono sempre stato qui.” Ma non sarà vero, la domenica prima lo hanno visto sollazzarsi al sole di giugno, mentre tu eri seduto a sudare sul divano, a incrociare gli occhi tra la TV e il live timing, per capire quanto perdessero le Ferrari al giro. Un sorso di birra ogni volta che era meno di mezzo secondo: la bottiglia è rimasta piena vero? Bella storia.

Va bene, complimenti, hai vinto il premio per miglior divanaro del mese, la statuetta d’oro ti arriverà in comode rate di 612 pezzi, in un breve periodo di 51 anni, ma sei pregato di non disturbare chi lavora.

Sei pregato di non fare battute, di non correggere, di non puntualizzare. Sei pregato di accontentarti, e, mentre stai seduto comodo nella tua cittadina sperduta dell’Italia, lontano km e km dalla pista, di smettere di pensare di poter capire cosa stia davvero succedendo. Non basta leggere i tempi, analizzare i carichi di benzina, i giri veloci, quelli prima e dopo il pit, lo stato delle gomme, lo stato della pista… se non senti l’odore di quell’asfalto non puoi capire.

“Ah, pensavo che anni e anni di weekend passati a studiare il motorsport…” “No, zitto.”

“Ma pensavo di meritarmi almeno…” “No, sempre zitto.”

Va bene. Solo che forse anche meno.

È la dedizione, è la passione, sono i sacrifici fatti per non perdersi neanche un fotogramma di quelle monoposto, che portano a chiedere di più, a pretendere il rispetto verso chi sta qui ogni secondo del weekend di gara, a chiedere di mettere tifosi di questo tipo davanti a chi vuole solo spettacolo ed entusiasmo gratuito una volta ogni tanto, magari perché siamo nel periodo di pausa della Serie A.

Non è l’essere un “hater”, di qualunque tipologia esso sembri essere, che spinge il tifoso più presente a far notare qualcosa che non va, a precisare cosa è sfuggito a chi di dovere.

Il buonismo non sa di buono (perdonerete il gioco di parole), ma soprattutto il buonismo non sa di sport.

È come quando all’inizio di una storia sei esageratamente innamorato e vorresti solamente scrivere poesie o canzoni d’amore. A un certo punto però, quando ti sei ambientato e acclimatato, quando hai trovato il tuo spazietto comodo a fianco dell’altra persona, quando hai capito come funziona per bene il tutto, ogni manifestazione di affetto esagerata è superflua, i versi d’amore, gli occhi dolci, le parole forzate non servono più.

Quello che ti serve davvero, oltre alla calma e alla concretezza, oltre all’amore e alla pazienza, non è una serenata con il violino fatta alla finestra di chi ami, non è una lettera di sette pagine lasciata sotto il cuscino, ma è, fidati ti prego, avere la forza ogni tanto di analizzare il passo gara delle squadre del midfield durante le prove libere.

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