Cuori dentro la tormenta
La gara del Bahrain mi ha ricordato una partita di primo turno a Wimbledon di un paio di anni fa, non ricordo chi fossero i giocatori e le mie ricerche non hanno portato a nulla, ma vi spiego. Uno dei due giocatori non aveva mai vinto una partita di tabellone principale degli slam, per intenderci era sempre uscito al primo turno, e stava finalmente vincendo quel match, sull’erba del miglior torneo del mondo. Per capirci, per giocatori di questo genere, che giocano per la maggior parte del tempo in tornei di quarta o quinta fascia, dove tutti stanno nello stesso spogliatoio, si allenano quando possono, girano in autobus e bene che vada guadagnano lo stretto necessario per pagare lo stipendio all’intero team, vincere una partita del genere, a Wimbledon, è come vincere il torneo, li porta in una dimensione molto diversa, svolta la carriera, per non parlare del montepremi per chi supera anche solo il primo turno, che è già tanta roba.
Fatto sta che questo tennista stava vincendo il match, ma a pochi game dalla fine subì un infortunio alla coscia, non riusciva più a correre, e dovette ritirarsi. Mi è rimasta impressa, perché quello che doveva essere il giorno più bello della sua carriera si trasformò in uno dei più tragici, con tanto di sorriso amaro che diceva “cosa stavo per combinare alla mia vita?”.
È un’estremizzazione della situazione, chiaro, ma quella partita mi è rimasta impressa, insieme a quello che poteva significare per costui, e che poi non è stato. Non è stata colpa sua, né un suo errore, forse un’ingiustizia divina, un caso, una congiunzione astrale maledetta, oppure semplicemente nel momento più importante della carriera ha appoggiato il piede in una posizione di dieci millimetri sbagliata e tutto è tornato sui suoi binari soliti, quelli in cui doveva tornare a giocare i challenger su campi popolati più da zanzare che da pubblico festante.
Abbiamo imparato che nello sport non puoi controllare tutto, e nella Formula 1 questo vale ancora di più.
Ma se la rottura capita a un pilota che sta in quattordicesima posizione alzi le spalle e ti dispiaci per un millesimo di secondo, se al leader della gara scoppia uno pneumatico su un detrito ma ha già in bacheca una manciata di vittorie magari imprechi e sorridi amaro alla dea bendata per mezza giornata, ma se il pilota che è in testa e a cui il motore sta giocando un brutto scherzo è Charles Leclerc, che sta cercando la sua prima vittoria in formula 1, in Ferrari, che ha 21 anni ed è già un predestinato, che ha negli occhi e nella testa quella luce quasi divina che ti acceca ma che non vedi l’ora di scoprire nella sua pienezza, che vuole dedicare il suo trionfo a persone che vivono ancora in un pezzettino del suo e del nostro cuore, pur non camminandogli più accanto, allora imprecare non basta più. Ed è inutile utilizzare quella parola che inizia per s ed è il contrario di fortuna, perché qua c’è proprio qualche strana divinità che si è impegnata per spezzare il cuore non solo di tutti quelli che vivono di questo sport, ma anche di coloro che erano per caso davanti alla tv.
E in tutta la finaccia che ha avuto la gara, con tutta la delusione, la nostra voglia di spaccare computer o televisione (che poi la prossima gara dove la guardiamo?), la voglia di dire le parolacce più brutte che vengono in mente, lui che fa? Non urla. Non si arrabbia. Non accusa.
Quello che fa, subito dopo la bandiera a scacchi, parlando in radio ad un team desolato, è dire questo:
“Penso che dobbiamo sempre vedere le cose positive, anche se non ce ne è molte. Avevamo il passo. Noi, o io, abbiamo probabilmente delle stelle fortunate lassù, per via della safety car alla fine. Una bella fortuna in una situazione sfortunata, vediamola così.”
E questo è alla fine della giornata quello che ci prendiamo, quello che rimane di una gara penosa, con tanta cattiva sorte quanta sabbia c’è nel deserto ai bordi della pista: un ragazzo di ventuno anni che avrebbe fatto saltare, vincendo, il banco in una maniera impressionante, dandoci una data in più da segnare sul calendario e celebrare negli anni a venire, e che invece a undici giri dalla fine si è trovato senza motore, con tutti che si sdoppiavano o lo superavano. Chissà cosa gli è passato nella mente, quanti pensieri negativi, quanta voglia di accostare e cacciare un urlo contro il cielo, o contro quella macchina rossa che lo aveva tradito. E invece ha fatto tutto quello che gli chiedevano, ha provato a mantenere un passo decente, è arrivato al traguardo e alla fine ha ringraziato per l’unica cosa positiva in una giornata di… inserite voi la parola che ritenete più opportuna.
Noi lo sappiamo che ci saranno mille altre occasioni per vincere, ma in quel momento realizzarlo e farne un pensiero lucido e concreto deve essere stato uno sforzo da titani, da accettare in fretta, mentre uno che gli stava a 30 secondi lo sorpassava senza problemi, e lui ci è riuscito, in dieci giri, tirando fuori solo una parolaccia, mentre la maggior parte di noi faceva fischiare le orecchie a qualche santo lassù.
Facile no? No.
Questa storia deve fissarsi per bene nelle menti di tutti; segnatevelo come vi ha fatto sentire Charles in quei momenti, cosa vi ha lasciato dopo, quello che avete scritto, che racconterete a chi vi chiederà della gara, perché è questa la situazione che lo definisce, non le imperfezioni a Melbourne che tanto vi avevano preoccupato, o gli inevitabili errori che farà in futuro, che a volte comprometteranno tutto.
Alla fine vincerà la sua prima gara, a noi passerà il malessere e tutti andremo avanti, ma non sarete più autorizzati a cambiare improvvisamente idea appena tempi più bui si approcceranno.
Oggi è giusto celebrare un pilota che ha dimostrato di essere sulla strada più giusta e veloce per diventare un campione, e a me sembra che il navigatore sia impostato in maniera precisissima. È giusto esaltare ogni singola cosa buona che possiamo trarre da questa gara. Difficile trascurare però che vi siete dimenticati di una cosa: esaltare le doti di uno, riconoscerne il talento e la lucidità, non rende normale adombrare l’altro, utilizzando quello che Charles è stato domenica per dimenticare quello che Sebastian è stato negli ultimi quattro anni, approfittandone per sbattere la porta su una storia per voi già chiusa.
E quindi, in futuro, salvate il soldato Charles, perché l’altro, temo, lo avete già abbandonato a perdersi nella tormenta.