Non tutte le piste nascono col buco
Oggi parliamo dei misteri del nostro Universo. Sono tanti e sono irrisolti, ma soprattutto sono in mezzo a noi e non lo sappiamo. Sono domande profonde, che vanno a toccare anche il nostro animo e diventano filosofici quesiti per l’umanità intera. Faccio degli esempi. Di cosa è fatta la materia oscura? Cos’è successo nei primi istanti di vita dell’Universo? Osserveremo mai i monopoli magnetici? Come hanno fatto i due commentatori a non vedere un buco grande quanto una monoposto di Formula 1 nella griglia di partenza del gran premio di Imola? Ma soprattutto, noi cosa abbiamo fatto di male durante il percorso dell’evoluzione della specie umana per meritarci i premi di Race Anatomy?
È difficile accettare di non conoscere la soluzione a questi e altri quesiti. Mi rendo conto che ce ne sono alcuni da cui difficilmente riusciremo a uscire vittoriosi, con una risposta che soddisfi i posteri. Mi riferisco ovviamente agli ultimi due, trovare risposta sarebbe un’impresa degna dello sbarco sulla Luna.
È davvero prodigiosa la dinamica della vicenda. C’era una monoposto, la numero 5 chiaramente, non te poi sbagliare, che veniva mestamente, durante lo SPOT AND GO E POI TORNIAMO, portata verso il box, su un carrellino come quelli che in Austria 2020 portavano i premi (grandi invenzioni dimenticate troppo presto ahimè), trascinata con agitazione da meccanici in verde e fucsia (difficile non vederli) e nel significativo pathos della scena niente, non se ne sono accorti. È sovvenuta la consapevolezza, o forse il suggerimento, alla fine del giro di ricognizione, quando sbrigativamente hanno informato il pubblico, che in realtà già lo sapeva da una quantità abbonante di minuti grazie a potenti mezzi di informazione giornalistica come twitter, che Sebastian Vettel, quello che è quattro volte campione del mondo e non si merita il posto hai capito no? ecco, lui, sarebbe partito dalla pit lane. Analisi dell’evento? Inesistente.
Ora, questo è un esempio a me molto caro per aprire una finestra sull’abisso: le mille e una cose successe durante la gara di domenica, a cui si aggiungono le altre accadute tre settimane fa in Bahrain, di cui in cabina di commento non si sono minimamente accorti. Sulla colonnina dei tempi posta alla sinistra del teleschermo i nomi si scambiavano e ricambiavano, cosa che di solito ti fa venire il dubbio che qualcosa stia succedendo, ma cosa credete, che fosse possibile accorgersi di una cosa del genere? Anzi, se non bastasse, se mai, per un guaio tecnico, durante il gran premio si apriva una finestra su quello che succedeva nelle posizioni di rincalzo, subito si richiamava la regia all’attenzione, perché non sia mai che si esplori tutta la lunghezza del campo partecipanti.
Del gran premio dal nome più lungo d’Europa si potrebbe parlare per ore e ore perché sono capitate circa un triliardo di cose emozionanti e, se questo non è lo spazio adatto, il post gara lo era. Ma che fai? Ne approfitti? Sia mai, parliamo di cose a caso, parliamo del complotto più intrigante del momento, della vicenda che ha scosso l’animo sensibile di tanti appassionati. Io lo so che voi sapete di cosa sto parlando: il contatto che Baku 2017 spostate, lo scontro tra generazioni che tutti attendevamo, la clamorosa menata di cui hanno parlato più o meno tutti… forse. Vabbè sì, sto parlando della gloriosa spallata. La spallata fratricida che è stata vendicata nientemeno che in curva 2. Che poi tutte e due uno le ha date, quindi vendicata de che? Ma non ci fissiamo sui particolari e andiamo avanti.
La spallata ricevuta e poi vendicata è stato il filo conduttore di una domenica sportivamente da sogno. La narrativa di questa Formula 1 è unidirezionale e condizionata, manipolata continuamente da forze oscure e totalmente soggettive. Da un lato ci sono i fatti, di cui raramente conosciamo cause e conseguenze, dall’altra ci sono le cose che ci vengono raccontate dalla tv, con ricostruzioni fantasiose e ragionamenti probabilmente mai fatti da nessun essere vivente sul pianeta Terra che vengono invece dati per certi. Avvenimenti che potrebbero facilmente scivolare nell’insignificanza sul lungo termine assumono contorni maestosi, talmente distorti da diventare ridicoli. Avete presente quegli infusori con i buchini? Quelli in cui metti il tè sfuso e che poi immergi nell’acqua bollente. Capita che qualche fogliolina malevola trapassi quei buchini e si metta a galleggiare felice e libera, facendo sì che il nostro tè assuma più le sembianze di un intruglio di satana che di una bevanda rilassante. Ecco, io ci vedo così: noi siamo in quest’acqua a bollire e a nuotare nelle nostre delusioni sportive e le informazioni che ci arrivano sono centellinate, random e ovviamente fastidiose, mentre il grosso dei fatti che volevamo conoscere è rimasto dentro l’infusore. Chi non sa che le informazioni stanno lì allora è nella pace dei sensi, accetta tutto quello che arriva, è il prigioniero perfetto, non ha di che lamentarsi. Il problema sorge quando lo vedi benissimo tutto quello che potresti avere e che non hai, e allora non solo stai morendo di caldo in quell’ansia da gara che ti mangia, ma sei pure incazzato nero perché hai la piena consapevolezza di essere stato ingannato. La cosa peggiore è che voce in capitolo ne hai poca. Se vogliamo spingere la mia brillante metafora più avanti, se apri la bocca per lamentarti bevi e affoghi.
La speranza è che arrivi presto il giorno in cui qualcuno risolverà i misteri dell’Universo e qualcun altro invece ci spiegherà i segreti del circuito, la priorità tra le due conclusioni è ben definita, inutile stare qui a specificarlo.