I want it that way
C’è una canzone di un cantautore abbastanza conosciuto che dice qualcosa come “io ti giuro che torno a casa e non so di chi” e descrive perfettamente la mia situazione attuale, non riesco a togliermela dalla testa.
In questo momento preciso in cui scrivo sono appena iniziati i test invernali, l’unica sessione, una settimana prima dell’inizio della stagione… Qua c’è un’altra canzone che mi passa per la testa, è cantata da 5 sospettati di omicidio e un poliziotto e tutti insieme strepitano TELL ME WHY, AIN’T NOTHING BUT A MISTAKE.
Per le references e per maggiori info scrivetemi in pvt.
Vabbè, scusate, andiamo avanti.
A parte le polemiche, per cui noto con piacere che non ho perso lo smalto, l’inizio di questi test invernali mi ha buttato giù dall’altopiano dell’indifferenza. Natale, Capodanno, Epifania, Carnevale, Blanco che distrugge il palco di Sanremo… è tutto passato, ora reinizia la stagione di Formula 1. E non si può più fare finta di niente.
Le mie tendenze sono abbastanza chiare e dove sto andando potete facilmente immaginarvelo. Quindi ora lascio tre righe bianche se non volete leggere il mio personalissimo De profundis e volete continuare ad essere entusiasti e felici di questo nuovo inizio. Enjoy, ciao.
Okay.
Nelle precedenti righe ho dato sfoggio della mia profonda cultura musicale, quindi peggio di così non può andare, credo.
Il primo articolo che ho scritto per questo blog ha impiegato mesi a prendere forma: prima nella mia mente come consapevolezza che tra tutte le cose che scrivevo potesse esserci un “pezzo” per un blog sportivo, poi come effettivamente qualcosa di leggibile e fatto in modo decente, poi come sforzo di scrivere un messaggio privato a Giro per chiedergli se per caso gli andasse di leggere qualcosa che avevo scritto.
Non è che voglio parlare di me, è solo un preambolo, molto lungo, ma ci consociamo, lo sapete.
Il punto è che la prima volta che ho scritto per un “pubblico” più ampio di quello costituito dall’unica persona che durante la mia vita ha letto quello che scritto è stato per parlare di due persone che obiettivamente hanno lasciato dentro di me un segno molto più marcato di persone che ho davvero frequentato in tutti gli anni che ho vissuto.
La seconda parte del 2022 può essere rappresentata benissimo dall’immagine di quei due tonti seduti su una panchina dopo l’ultimo match di uno dei due, che si tengono per la mano e piangono. L’ultimo match di Federer è stato difficile da pensare, difficile da guardare e difficile da processare. Ancora oggi io mi aspetto che qualcuno annunci il suo nome e io mi ritrovi seduta sul divano a chiedergli di mettere la prima in campo per favore. Però il ritiro di Roger è stato quello: annunciato, avvenuto, passato, nel giro di qualche settimana.
Il ritiro di Sebastian Vettel invece (è questo quello di cui voglio parlare, pazzesco vero?) è stato come un’agonia prolungata. Annunciato mesi prima che avvenisse, con un video programmato ore prima ed io che dico a tutti “ma figurati se crea un account apposta e fa un video su instagram per ritirarsi dai!!!”
Certi karma fanno giri immensi ma poi ritornano. E in questi anni hanno fatto sempre sempre sempre gli stessi giri e ci hanno sempre sempre sempre causato lo stesso stress.
Ci sono stati anni, quasi tutti da 8 anni a questa parte, in cui l’inizio dei test mi faceva venire una sensazione nel petto così forte che mi riempiva ogni cosa, il cervello, le dita, la bocca. Non pensavo, non scrivevo, non parlavo di altro. Questo pensiero era così nitido che offuscava il resto. Ero in un mondo in cui esisteva solo lo sport, quello sport, e tutto il resto era background. La sessione di esami, le lezioni, la biblioteca in cui studiavo, la mia stanzetta condivisa, i viaggi per tornare a casa, era tutto sfocato, tutto in funzione di quello. E da un lato sembra una cosa brutta, la mia vita era tenuta, in certi periodi dell’anno, a volume bassissimo, per non disturbare i miei pensieri, i miei ragionamenti, le mie speranze riguardo lo sport, riguardo Sebastian. La tuta rossa, il casco con la bandiera tedesca, la vittoria in Australia nel 2017, pochi mesi dopo quella di Federer sempre a Melbourne dopo 5 anni di digiuno, tutte le gare in cui si lottava per i punti, con la speranza di vincere il mondiale, mi hanno fatto battere il cuore come mi succedeva solo con quell’altro. Le mie coinquiline hanno assistito alla caduta dal letto dopo il botto di Singapore 2017 e ancora ridono di me. Ma adesso ragazzi, anche quello è un bel ricordo, in che condizioni sto/stiamo.
Non posso nascondermi, a parte la sua conclusione, il periodo in cui Seb è stato in Ferrari è stato l’unico periodo della mia vita in cui per un tempo così prolungato ho creduto fortemente in qualcosa. Quei due anni, 2017 e 2018, mi hanno cambiata. Sembra uno psicodramma, ma potete pensarla come volete, è così.
E se ora non ho più molta voglia di adagiarmi su opinioni che non approvo tanto, facendo finta di essere d’accordo, ma dicendo quello che penso, in maniera più o meno filtrata a seconda del contesto, è per merito di quelle magliette vietate indossate prima dell’inno, per quel “disqualify me then” detto in Ungheria, per quell’accostarsi a Norris fermo dopo il botto a bordo pista a Spa, dopo aver urlato in radio che c’era bisogno di fermarsi, per quel casco con l’arcobaleno in Turchia, per tutte quelle parole dette con tutta l’onestà di cui c’era bisogno. Per le api, per i sacchi della spazzatura, per Miami inondata.
C’è stato un altro mondo in Aston, un mondo senza vittorie, un mondo senza pit stop veloci e senza strategie decenti, ma un mondo in cui lo sport ha preso la forma di quello che deve essere, cultura e, se va bene, cambiamento sul lungo periodo.
Alla fine dei conti l’impegno e le intenzioni delle persone fanno la differenza, in ogni contesto, in ogni luogo, in ogni lago. Non quello che sono, quello che sono è la base su cui costruire. A volte penso che lo sport abbia costruito sulla base di quello che sono un modo di affrontare le cose che ancora rincorro ma che mi sembra l’unico obiettivo possibile.
Non c’è bisogno di dire a voi quanto lo sport sia importante nella cultura delle persone, se state ancora leggendo lo sapete benissimo, non siete le persone con cui devo combattere giornalmente che desiderano solo che la propria squadra schiacci l’avversario.
Io mi sento fortunata ad aver visto giocare Federer mentre era in attività, ad aver potuto sentire la pelle d’oca mentre entrava in campo, a poter stare in piedi durante i match point, a sentirlo esultare mentre esultavo anche io con lui, a potergli dire “dai Roger” da km di distanza mentre serviva per qualcosa di importante.
E allo stesso modo, se non di più, la Formula 1 di Seb mi ha dato gran parte delle cose di cui ho bisogno nella mia testa giornalmente. Mi ha dato un modo di vedere le cose che ora che sono adulta e sono uscita dal contesto protetto di studentessa ha così tanto senso che è difficile spiegarlo bene. Ha il senso di chi fa il suo lavoro per bene, senza malizia, senza fronzoli, senza volersi imporre, rispettando, con tutti i difetti personali di ognuno, quello che esiste intorno, quello che sta sotto e che sta sopra. Ha il senso dell’entusiasmo per le vittorie giornaliere e l’accettazione delle cose che vanno male. C’è sempre il giorno successivo.
Per non sapere né leggere né scrivere la Formula 1 di Seb mi ha dato messaggi infiniti, audio lunghissimi, conversazioni in piena notte, abbracci nella fan zone di Monza. Mi ha dato delle amicizie che pur essendo virtuali, di virtuale non hanno proprio niente, e già questo è abbastanza.
Come potete vedere io non sono molto andata oltre, anche se sono passati oramai più di due mesi. Anzi, sono in alto mare. Sono vagamente convinta che in qualche modo Sebastian Vettel in Formula 1 lo rivedremo, alla faccia di chi stappa le bottiglie e già pregusta questo sport senza di lui. I want it that way.