Cento di questi giorni (e queste notti)

È difficile, incredibilmente difficile, trovare un punto di partenza per questa storia. Dovrei iniziare forse da quando nei primi anni 2000 è nato il mio interesse per l’endurance, quando Audi la faceva da padrona, prima con dei “banalissimi” motori a benzina, per poi sbalordire tutti prima con i motori diesel, poi con primordiali tecnologie ibride. O dovrei iniziare da molto meno lontano, quando decido, senza troppi tentennamenti, di andare a Monza a guardare la 6 Ore del 2022.

Sta di fatto che mi ritrovo a Monza e qualcosa nell’atmosfera del WEC la avverto, qualcosa di diverso da ogni altra competizione. È un campionato mondiale FIA, eppure non si dà le arie di una Formula 1, tutt’altro: i prezzi sono tutto sommato accettabili. Per poco meno di 60€ avevo accesso di domenica alle tribune (tutte quelle accessibili), al paddock e alla pit walk. Per l’esperienza che ti viene offerta e per il livello della competizione è decisamente un prezzo basso, pensando che nello stesso circuito per un GP di F1 c’è gente che, senza esagerare, spende anche 10 volte di più, senza nemmeno avere chissà quale particolare libertà di accesso ad aree, anzi. Finisci per essere confinato al tuo posto in tribuna.

Nel frattempo Ferrari aveva annunciato il suo ritorno nella massima categoria dell’Endurance, cosa che ovviamente ha suscitato ancora più interesse per il WEC. Anche per il sottoscritto, naturalmente. Arriva ottobre ed annunciano l’imminente uscita dei biglietti per la 24 Ore di Le Mans. La tentazione oramai è troppo grande e come titola una canzone degli Strokes, You Only Live Once. Hotel, aereo e biglietti prenotati. Si va a Le Mans! Ma è solo ottobre, mancano otto mesi. Due settimane dopo viene finalmente svelata la Ferrari 499P ed io, davanti a cotanta bellezza, non sto più nella pelle. L’edizione del centenario, il ritorno dopo 50 anni di Ferrari con un prototipo ed io sarò lì. Ma mancano sempre ancora 8 mesi. Troppi. È la classica situazione in cui non ti sembra vero, il tempo non passa mai e finchè non ti vedi fisicamente andarci, ti riesce difficile persino credere che accadrà. Eppure per Le Mans è praticamente tutto pronto. Manca solo il treno da prenotare, i cui biglietti escono a marzo. Ma mancano ancora 3 mesi. E sono ancora troppi.

Arriva Spa, il consueto appuntamento del Mondiale Endurance che precede Le Mans, è fine aprile, ma manca ancora un mese e mezzo. La Ferrari va forte nel giro secco, in gara però è ancora un pelo dietro col passo. Ma non è lontana. Ma questo mese di giugno non vuole arrivare proprio quest’anno.


Finché una mattina mi sveglio ed è l’8 giugno 2023, la valigia è pronta, l’aereo pure. Si vola verso Parigi. Atterro ed ad aspettarmi trovo il buon Luca con la pazientissima Stefania, coi quali avevo già condiviso l’appuntamento di Monza della stagione precedente, insieme ai quali si prende il TGV che dall’aeroporto Charles De Gaulle ci lascia in poco meno di due ore nel centro di Le Mans. Sono giorni che Luca ed io ci diciamo “calma” a vicenda, perché l’attesa è stata lunghissima, non siamo ancora nel circuito, ma siamo sempre più vicini.
Scendiamo dal treno e notiamo che a parte qualche insegna nella piazzetta della stazione che richiama all’evento dell’anno, in città non c’è quasi traccia di quello che sta accadendo a pochi chilometri da noi, nella periferia sud-est. A parte la pubblicità sui tram e qualche negozio con delle timide decorazioni nelle vetrine, potremmo dire di essere in una qualunque anonima cittadina del centro Europa. Le Mans trasmette una quiete totalmente in contrasto con quanto stia avvenendo non poco lontano dal nostro albergo. Check-in, valigie mollate, una sciacquata e si va a prendere il tram che dal centro di Le Mans lascia davanti l’ingresso del circuito.

C’è una sensazione che accomuna tutte le volte che sono stato ad assistere a gare dal vivo: quella eccitazione, quella fretta di arrivare che cresce di metro in metro, di varcare i controlli, di passare l’entrata, di entrare e sentire il rumore dei motori da lontano, che ancora non vedi, ma sono lì, ormai a pochi metri da noi. Ma sei lì che ancora non li vedi, continui a camminare, a seguire la folla che sei sicuro che ti porterà dove li vedrai. Ed eccoci. Il ponte Dunlop, le omonime curve. Li vedi sfrecciare. I prototipi, le GT. Siamo a Le Mans. Per noi già solo questo è motivo di esultanza.

Passiamo il ponte ed arriviamo dal lato opposto della pista, ossia dove sono distribuite gran parte delle tribune. È un lento realizzare, minuto dopo minuto, auto dopo auto, che è tutto vero, che siamo lì. È giovedì 8 giugno 2023, siamo a Le Mans, siamo in attesa della Hyperpole che deciderà lo schieramento delle migliori auto di ogni classe. Decidiamo di addentrarci un po’, abbiamo del tempo per studiare le aree del circuito. Arriviamo fino al paddock, aperto a tutti quel giorno. Hai piloti e addetti ai lavori che da ogni lato ti passano attorno. Foto con Rosin, con Vasseur e soprattutto col grande capo dei programmi Ferrari GT e WEC, Antonello Coletta. Si concede con grande disponibilità ad una foto, gli dico un “forza Ferrari!” prima che torni nel’hospitality e lui, allontanandosi, mi risponde “ci proviamo”. Io mi aspettavo un “sempre”, un cenno tipo il pollice all’insù di Vasseur. Dice due parole che mi accendono, che mi fanno sperare.

Ah, contatto i miei sempre cari “cuggggini in Prema” che hanno già in passato reso le mie avventure nei circuiti a dir poco leggendarie. Senza che io abbia chiesto davvero nulla, se non di vederci per un saluto, ecco uscir fuori dei pass per un breve seppur interessantissimo tour dentro il box Prema. È impressionante come gli spazi dentro i box siano sacrificati oltre ogni immaginazione. In tv sembravano molto più ampi, in verità sono strettissimi, tanto che nel retro box bisogna ricavarsi stanze extra per ingegneri e vari membri del team, creando delle strutture anche a due piani in containers. Lo spazio per muoversi con agilità (immaginarsi condizioni di “emergenza” come rotture o guasti improvvisi) è davvero ridotto all’osso.

Torniamo verso le tribune, che è già l’ora di Hyperpole. La Ferrari mette entrambe le 499P davanti agli altri. Qualcosa sta succedendo. Ci stanno provando per davvero. È vero, la Ferrari nel giro secco ha sempre dato filo da torcere alle Toyota, ma Antonello mi ha detto che ci provano.

Finita la qualifica decidiamo di approfittare di un circuito non ancora pienissimo (si parla di prima edizione sold-out) e ci affrettiamo a metterci in fila per entrare nel museo di Le Mans, appena dietro dove eravamo seduti. Tatticamente ineccepibili. L’ingresso del museo è incluso nel prezzo del biglietto della 24 Ore (accesso generale per tutta la settimana più posto riservato in tribuna per i due giorni di gara, 220€ circa). La visita al museo inizia da un corridoio abbastanza stretto con ai lati i cimeli dei piloti e delle personalità più rappresentative degli ultimi 100 anni: Enzo Ferrari, Ferdinand Porsche, Kiichirō Toyota. Poi Steve McQueen, Jacky Ickx, Tom Kristensen e Fernando Alonso. E Sébastien Buemi. C’è l’esposizione del trofeo, sia quello ordinario che quello speciale realizzato per il centenario. C’è una stanza ovale dove sono custoditi i modelli in scala 1:43 di tutte le auto che hanno corso a Le Mans. Tutte. 4.478 modellini. E poi ci sono le auto, quelle vere, in grandezza naturale. Ci sono le Ford e le Ferrari che per anni si sono sfidate, ci sono i mostri del gruppo C con le loro livree iconiche. C’è la Mazda 787B, la McLaren F1 GTR. Ci sono le LMP1. Le Audi di cui parlavo all’inizio, passando per la Porsche 919 #19 che vinse l’edizione del 2015 guidata da un trio che prima di quell’edizione aveva fatto solo una 6 Ore di Spa giusto così per scaldarsi e che fece fuori tutta la concorr…

Usciamo dal museo ed è lentamente calato il buio sulla pista. Per la prima volta siamo davanti ad un circuito in notturna. La corsia dei box illuminata artificialmente sembra quasi un presepe vivente. Iniziano le ultime prove libere e finalmente vediamo (soprattutto sentiamo) la Nascar girare. È tutto magico. Anche il tizio mmmmerigano seduto non lontano da noi che ad ogni passaggio della Nascar riesce ad essere altrettanto rumoroso ed ad esaltarsi perché “this is the way to do it, baby!”. Testuali parole.

In pieno spirito endurance decidiamo di giocare di strategia, di dosare le energie e torniamo verso l’albergo in centro. Nel tornare ci diciamo che per quanto già visto ci si ritiene già soddisfatti così. Abbiamo la sensazione che il prezzo del biglietto sia stato già in qualche modo ripagato. Ed è solo giovedì.

Il giorno dopo è dedicato a Le Mans città. In centro ci sarà la sfilata di tutti piloti. La città, che il giorno prima avevo detto essere quasi fiacca, d’improvviso si trasforma. Gente, tantissima gente, sia locale che straniera come noi. Tantissimi affacciati anche dalle finestre. Tutta la zona del percorso della parata transennata già in mattinata. Ci affrettiamo a fare una spesa in supermercato per prendere un pranzo, acqua, tanta acqua, degli snack per andare poi a sistemarci a ridosso delle transenne. Sono le 11. La parata inizia verso le 14. A turni ci muoviamo di tanto in tanto per evitare di perdere il posto in prima fila e ne approfittiamo per prendere il tradizionale giornale locale che esce dopo la qualifica del giovedì. È tutto un attendere. Si fanno le 14, finalmente inizia la parata… delle ballerine di samba. Dopo un momento di disorientamento generale inizia finalmente la sfilata, quella vera. È una festa, una festa vera. È la festa di tutti, degli abitanti di Le Mans, dei tifosi accorsi da tutto il mondo, anche dei piloti, altrettanto partecipi e divertiti da cotanto entusiasmo. È una celebrazione dell’evento, nel senso più puro. La parata finisce e siamo stravolti. 3 ore ad aspettare la parata, altrettante ore passate sotto al sole ed in mezzo alla folla. Torniamo a dormire in albergo perchè da restare svegli ce ne sarà. Giusto una cena in centro e poi di nuovo a letto. Almeno per noi sarà così, perchè per molti altri la festa è continuata, chissà quanto a lungo, nelle strade della città tra feste e festini.

È il sabato della gara, o meglio della partenza della gara. 8 e mezza, siamo già all’ingresso. la gara parte alle 16. Il tempo nel mezzo lo riempiamo andando nella fan zone guardando tutto quello che giovedì non siamo riusciti a guardare, o almeno parte di esso. Nel circuito di Le Mans c’è una quantità infinita di fan shops, di attrazioni e nonostante ci siano 325 mila persone non ti senti mai oppresso nella folla. A Le Mans c’è una quantità infinita di chioschi e ristoranti per tutte le tasche. È impossibile restare affamati o assetati. Un panino, delle patatine ed una coca cola puoi tranquillamente pagarli 10€, come puoi trovare un hamburger a 18€. Non puoi proprio lamentarti.

C’è il warm-up, roba di nemmeno mezz’ora. C’è la sfilata delle auto del museo, quelle viste ferme l’altro ieri, che improvvisamente riprendono vita. C’è la Mazda 787B che fa un rumore che fino a quel momento non pensavi fisicamente riproducibile. Ci sono cent’anni di storia che stanno passando sotto i nostri nasi. Ultimi giri attorno le tribune prima di prendere posto in tribuna. A Le Mans c’è un protocollo preciso nell’ora che precede la gara, al pari di una messa. Senti la sacralità del momento e dell’evento al quale stai assistendo. L’arrivo dei militari che si calano con le funi dall’elicottero. La consegna della bandiera tricolore a Lebron James da sventolare simbolicamente alla partenza. La marsigliese. È una processione lunga un’ora che ti incute quel giusto senso di magnificenza che un evento del genere è degno di avere.

È la partenza della 24 Ore di Le Mans.

Le auto hanno iniziato il giro di ricognizione, mancano pochissimi metri prima del semaforo verde. Dal pubblico c’è chi chiede di fare silenzio, si sente questo “shhh shhh” propagarsi tra le tribune. La gente si ammutolisce per davvero. Il pubblico del WEC ha rispetto per il Motorsport e sa riconoscere la grandezza di cosa sta ammirando. In un silenzio surreale, tenendo conto della marea di gente presente, la gara parte. Si sentono solo le auto andare su di giri. È una magia.

La gara stenta a decollare. La Safety Car, complice una nuova regola adottata quest’anno, resta per troppo tempo in pista. Quasi tutto il primo quarto di gara va via così. Quando finalmente la gara entra nel vivo decidiamo, ovviamente, di allontanarci dal nostro posto in tribuna, vogliamo vedere le auto dalle curve Porsche. Il tempo di arrivare nel punto più remoto accessibile al pubblico che inizia a cadere qualche timida goccia di pioggia. Il tempo di dirigerci di nuovo verso le nostre tribune, che arriva una vera propria bomba d’acqua che crea scompiglio non solo tra gli spettatori, bensì anche in pista. Riusciamo a ripararci nei box delle Porsche Supercup che nel mentre erano stati già svuotati, a metà strada tra dove eravamo e la nostra tribuna. Il tempo di mettere su qualcosa che ci ripari dalla pioggia e torniamo più velocemente possibile indietro, sappiamo che in gara sta succedendo la qualunque, ma non riusciamo a capire cosa. Uno dei pochissimi nei dell’organizzazione del circuito è nel commento ai megafoni. Per la quasi totalità è in francese, molto sporadicamente e per pochi minuti intervallato da un commento inglese. Troppo poco per un evento del genere. Tocca comprare delle cuffie che oltre ad essere isolanti (24 ore con dei motori così roboanti, al netto della Nascar, non si possono reggere) con una particolarità: una radio incorporata. A Le Mans sulla frequenza 91.2 FM si può godere di Radio Le Mans, una radio amatoriale che da decenni commenta in lingua inglese quello che succede durante la gara. Senza i ritardi di uno streaming da telefono che era ad ogni modo inutilizzabile data la quantità di gente attorno e la rete totalmente sovraccaricata. Nel frattempo al comando si alternano diverse auto. Le Peugeot (!!!), le Cadillac, ma soprattutto Toyota e Ferrari. Arriva la sera, proviamo ad uscire di nuovo dalla nostra tribuna per girare e, nemmeno a farlo apposta, ricomincia a piovere. Sconfortati decidiamo di tornare in tribuna. Cala il buio, decidiamo di non muoverci per qualche ora essendo il meteo così incerto. In tribuna ci raggiunge anche il mitico Saetta McQueen.

La notte di Le Mans è appena iniziata, in pista è una lotta tra Toyota e Ferrari, con Cadillac che non sta a guardare, sulle tribune è una lotta tra noi e Morfeo. Nonostante il fracasso che arriva dalla pista, Luca in primis, poi un poco a poco i pochi “superstiti” sulle tribune prendono sonno, inevitabilmente. Riesco a resistere, il tempo di vedere Pier Guidi spiaggiarsi nella ghiaia per evitare una GT ferma in mezzo ad una curva, uno spettacolare incidente mettere fuori dai giochi una delle due Toyota, i fuochi d’artificio. Per un’ora o due è inevitabile prendere sonno. Mi risveglio. Siamo a metà gara e le tribune sono state nel frattempo ripulite dal personale della pista e da alcuni boy scout, più volte. Organizzazione davvero incredibile. Tutti finalmente di nuovo svegli, si sta avvicinando l’alba e, su consiglio di Roberto Chinchero in persona, al sorgere del sole bisogna andare verso le curve Dunlop. Chi siamo noi per non ascoltarlo. Arriviamo in cima, c’è una distesa quasi inquietante di persone stese a terra che dorme. Alcune su terreni abbastanza polverosi, altri sulle pietre. Altri su delle sedie pieghevoli portate da casa. C’è chi ci ha palesemente dato dentro con l’alcol, chi sembra essere in after dopo un rave. Nel frattempo il cielo sta schiarendo. Siamo a Tetre Rouge, il posto in assoluto in cui le auto passano più vicino alle persone. Semplicemente spettacolare. Le luci dell’alba, questi bolidi che si lanciano in curve a velocità che in tv non percepisci, i fari accesi. Un mix così inusuale, quasi surreale. Seduti accovacciati come se fossimo a godere di un panorama, come se fossimo sulla spiaggia dopo un falò andato avanti tutta la notte. Invece siamo a Le Mans a vedere la 24 Ore. Bisogna ripeterselo più volte, perché ancora non sembra vero, nemmeno alle 5 del mattino della domenica, soprattutto alle 5 del mattino della domenica. La stanchezza si fa sentire, il freddo pure. Condizioni non facili per restare svegli, pensando soprattutto altre altre 11 ore davanti che ci attendono.

Per la prima volta mi stacco da Luca e Stefania per seguire Saetta ed il suo amico che vogliono raggiungere Mulsanne ed Arnage, i punti più remoti della pista. Il circuito mette a disposizione delle navette gratuite per raggiungere tali posti, parliamo sempre di un circuito lungo quasi due volte Spa. Arrivati alla stazione della navetta, situata praticamente alle porte del circuito, veniamo a conoscenza del fatto che suddetta navetta, forse l’unica in giro, parta dal punto indicato ogni ora e che ci metta un’ulteriore ora per arrivare a destinazione. Erano le 8:15, avremmo dovuto aspettare le 9 per arrivare alle 10 dove desideravamo, orario che secondo le previsioni doveva portare altra pioggia. Secondo neo dell’organizzazione del circuito pressoché perfetta. Data la portata dell’evento ed il numero di persone, ci vorrebbe una serie di navette che a ciclo continuo vadano da un punto all’altro. Ci arrendiamo, torniamo alle tribune.

Siamo ormai entrati nell’ultimo terzo di gara, quello decisivo. Quello in cui si capisce chi è davanti e chi è dietro, sempre se sopravvissuto. Per la vittoria finale se la giocano la Ferrari #51 e la Toyota #8. Alle 10 la famosa pioggia non è più arrivata, anzi batte un sole già cocente a prima mattina. Fa caldo, non si è dormito quasi nulla, mancano ancora 6 ore. Ferrari e Toyota continuano ad alternarsi al comando, finché un cambio muso di quest’ultima costringe i giapponesi ad un pit prolungato. La Ferrari passa davanti ed io continuo a ricordare le parole di Coletta. Ci proviamo. Però poi dopo un rifornimento la 499P non riparte, ripassa la Toyota. La Ferrari infine riparte ed in pochi giri sorpassa in pista la Toyota. Ci proviamo. Mancano 5 ore, poi solo 4. Manca sempre troppo, il tempo non passa mai. Le tribune che nella notte si erano svuotate si riempiono nuovamente come ad inizio gara. Tutti di nuovo ai propri posti. Mancano ancora 3 ore e questa gara sembra eterna. Ferrari davanti, ma la Toyota si avvicina fino ad un distacco di 11 secondi. Una nullità dopo 21 ore di gara. Controllo i distacchi sul traguardo col cronometro dell’iPhone, non riesco più ad ascoltare Radio Le Mans e cedo le cuffie a Luca. La Toyota sbaglia una frenata, si gira, perde un’eternità, si ferma ai box. gli 11 secondi sono diventati quasi un giro di distacco, ma continua a mancare troppo, almeno altre due ore. Abbiamo i posti in tribuna esattamente di fronte al podio. Vediamo davanti ai nostri occhi le coppe esser riposte sui gradini, un inserviente passare l’aspirapolvere. È tutto pronto, ma la gara ancora non è finita, manca più di un GP di F1 alla fine e nella mia mente passano il ritiro della WRT nel 2021 quando era al comando della classe LMP2, così come il ritiro della Toyota nel 2016. Entrambe all’ultimo giro della 24 Ore. La 24 Ore di Le Mans finisce solo quando passi il traguardo.

Manca sempre di meno, l’ultima ora si dilata talmente tanto nella mia mente da sembrare lunga tanto quanto le altre 23 ore messe assieme. Non finisce più. Ferrari saldamente al comando. Ma non finisce finchè non è finita. Siamo a pezzi, tra sonno, caldo e la tensione che si taglia con un coltello. Il pubblico è in silenzio, evidentemente provato, evidentemente in febbrile attesa della fine della gara. Il tempo di un ultimo pit. La Ferrari di nuovo non riparte. Non riparte ed io mi alzo in piedi, tirando la maglietta rossa ufficiale comprata il giorno prima allo store prima della partenza, urlando “e parti!”. Oramai sono in un tunnel emotivo dal quale si esce soltanto allo scoccare delle 16, in un modo o nell’altro.

Mancano 10 minuti, ossia tre giri. Inizio a contare i passaggi. Ne mancano soltanto due. È l’ultimo giro, ma la Toyota nel 2016 e la WRT nel 2021 si sono ritirate mentre erano in testa. Finché non la vedo passarmi sotto gli occhi sul traguardo non ci credo. Manca sempre di meno, finiti i lunghi rettilinei arriva la sezione che mi fa più paura, le Curve Porsche, Pier Guidi le fa passando lontanissimo dai muri, manca nulla all’arrivo, pochissimi metri. La Ferrari vince Le Mans al ritorno, al primo colpo. Abbraccio e strattono Luca.

“Abbiamo vinto Le Mans!”

È una liberazione. Una tensione accumulata nelle ultime ore come poche volte nella mia vita. La stanchezza delle ultime 32 ore passate quasi tutte sveglio. È la Le Mans del centenario, è il ritorno di Ferrari che la vince dopo 58 anni dall’ultima volta. È una gara che è già entrata di diritto nella storia del Motorsport. Ed io c’ero. Ero lì al traguardo testimone di tutto ciò. Vedo Giovinazzi e Calado venire sotto la nostra tribuna, esultando. Abbiamo vinto Le Mans. Il podio, l’inno di Mameli cantato a squarciagola.

Dopo la premiazione mi lancio sul rettilineo, aperto al pubblico. Mi ritrovo davanti a Saetta McQueen, lo abbraccio come si abbracciarono Vialli e Mancini dopo la vittoria di Euro 2020. È una liberazione, è una gioia infinita. Aprono anche la pit lane, che percorriamo avanti ed indietro ancora increduli di tutto quello che è accaduto, mentre Luca e Stefania che non mi vedono più decidono saggiamente di tornare in albergo. A turno ci ripetiamo “ma ti rendi conto? Stiamo chiacchierando nella pit lane di Le Mans, dopo aver visto la Ferrari vincere!”. Siamo troppo stanchi, troppo esaltati per riconoscere la realtà dal sogno. Ci incamminiamo fino al ponte Dunlop, la salita a piedi è più ardua di quanto pensassimo, sarà che la pendenza dal vivo la noti di più, sarà che sono le 18 del pomeriggio e siamo in circuito dalle 8 del giorno prima. Lasciamo finalmente il circuito. Dopo circa 36 ore. Una sacrosanta doccia in albergo per poi uscire a cena con i miei preziosissimi amici di Prema, salutarsi e poi andare a dormire.


È lunedì, facciamo il check-out. Un ultimo giro in città per fare un brunch, comprare un’altra copia del giornale locale post-gara, una quantità inaudita di bottiglie d’acqua, perchè tra una cosa e l’altra durante le ultime fasi di gara non siamo riusciti più a mangiare e bere quasi nulla, totalmente in stato di trance. Passeggiando per il centro ci rendiamo conto che Le Mans non è più la cittadina della parata del venerdì, è tornata ad essere la tranquillissima, anonima città già vista giovedì, come se per quella zona una delle gare più importanti del mondo non fosse mai avvenuta. Di nuovo, potevamo essere ovunque nell’Europa centrale e non sarebbe cambiato nulla.

Prendiamo il treno, arriviamo in aeroporto. Mentre aspettiamo di prendere i rispettivi voli, ci capita davanti un uomo con la divisa AF Corse. Da lontano gli grido, cercando di non essere molesto, un “Forza Ferrari”. Dopo un attimo lui si gira, mi vede con la maglia rossa e sorridente agita il pugno in segno di vittoria.

Le Mans va oltre la gara. È la celebrazione del Motorsport nella sua essenza più profonda. La 24 Ore di Le Mans è come un grandissimo motoraduno al quale 325 mila persone prendono parte senza guidare un’auto, ma sono lì, a far festa. Perchè in fin dei conti di festa si tratta. È la festa di tutti quelli che amano questo Sport.

100 di questi giorni (e di queste notti), Le Mans.

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