Il giorno che diventarono eroi

Puntai la sveglia un po’ prima del solito. 

La mattina sarei passato da Salvatore per estorcergli il televisorino portatile, prima di scappare verso l’imbocco dell’autostrada a mostrare il mio infallibile pollice. Le contrattazioni telefoniche per il filone di massa non erano state un successo: salvo ripensamenti sarebbe stato un sabato a scuola, anche se l’ultima ora di educazione fisica era una benedizione: avrei guardato le seconde qualifiche al campo Coni, nascosto dietro il materassone del salto con l’asta.

C’era il Gran Premio di San Marino, e nonostante l’assenza di Jean Alesi la speranza di vedere una Rossa in prima fila restava l’unico motivo di vita di quel mattino: sarebbe toccato a Berger rintuzzare gli attacchi di Damon Hill e magari provare a strappare a Schumacher la seconda posizione in griglia. Il giorno prima, Ayrton Senna aveva piazzato un tempo impossibile, ma l’interesse di tutti si era poi spostato sull’incidente di Barrichello: la sua Jordan era decollata dal cordolo della variante bassa, per poi arrestare il suo volo su quell’ultimo lembo di muretto che spuntava oltre le gomme di protezione.

Il sole baciava il prato sul quale ero seduto, avevo appena fatto spazio ad un paio di quelli della sezione H, e la piccola TV a pile faceva discretamente i suoi doveri in bianco e nero, quando le immagini staccarono improvvisamente su una vettura in pezzi che roteava senza controllo verso il tappeto pubblicitario Magneti-Marelli, all’interno della  Tosa.

Roland “The Rat”

Roland Ratzenberger era nato il 4 Luglio del 1960. Ancora oggi su internet si trovano pagine che riportano la sua data di nascita “preferita”: era arrivato tardi al motorsport, la sua carriera era partita nel 1983 in Formula Ford Tedesca dopo un paio d’anni passati a fare l’istruttore di guida sportiva, e pensando che la sua età potesse precludergli una stretta di mano importante, aveva iniziato a spacciarsi per uno del 1962. La tattica gli sembrava funzionare, e lui che non aveva mai fatto parte nè dei super-talentuosi, nè dei pieni di soldi, insieme alla sua irrefrenabile voglia di approdare in Formula1 avrebbe per sempre, per tutti, avuto due anni in meno.

Nel 1985 si laureò Campione Austriaco e Centro-Europeo, e vice-Campione Tedesco: gli si aprirono le porte per il prestigioso Brands Hatch Formula Ford Festival, nel quale si sarebbe misurato con molti destinati piloti di Formula1: Johnny Herbert, quell’anno vincitore, Mark Blundell, Damon Hill, Bertrand Gachot: concluse con un ritiro in finale, dopo un secondo ed un sesto posto nelle fasi eliminatorie. L’anno dopo si ripresentò per vincere, e ci riuscì, contro tutti i pronostici. Lo fece di un soffio, dopo un fantastico duello finale con Philippe Favre, riportando il titolo in Austria.

 

 

Dopo quel successo, era pronto per la Formula3 Inglese. Fu in quel periodo che raccolse un pizzico di popolarità extra in seguito alle apparizioni televisive a TV-am insieme ad un pupazzo che si chiamava, pensate che bizzarrìa,”Roland Rat”.

Roland Rat su TV-am

Roland Rat su TV-am

“La prima volta che sentii il nome “Roland Ratzenberger” pensai fosse un umorista TV che approfittava del nome del pupazzo per far soldi” scrisse David Tremayne. Era in parte vero. Cioè esisteva veramente qualcuno che ironizzando su questa strana e casuale omonimia non disdegnava di tanto in tanto di tirar su qualche soldo.. Ma si trattava di un pilota.

Che tipo.

Ratzenberger passò il biennio ’87-’88 alternandosi tra il West Surrey Racing Team di Formula3 Inglese (lo stesso Team col quale Ayrton Senna si era laureato campione nel 1983) e lo Schnitzer Team di WTCC nel 1987 (due secondi posti su BMW M3), e ancora la Formula3000 Inglese nel 1988 (vittoria a Donington e terzo posto finale).

Mica gli bastava? Provò per cinque anni l’avventura 24h di Le Mans, prima su Brun Porsche 962, poi per il Toyota Team SARD, ottenendo un clamoroso quinto posto assoluto come miglior risultato. Poi andò in Giappone e corse nel Campionato Sport Prototipi, e poi ancora tornò su una BMW M3 a disputarsi il JTCC, dimostrando quindi una forte versatilità nel passare da ruote coperte a scoperte, oltre ad una impressionante voglia di lavorare sodo.

 

Roland Ratzenberger su Sard Toyota

Su Toyota SARD

Ma non aveva occhi che per la Formula1: a detta di quelli che lo conoscevano, l’unica sua ragione di vita. Nel 1991 gli sembrò di toccare il cielo con un dito: si profilò infatti l’opportunità di un contratto in F1 con Eddie Jordan, ma lo sponsor giapponese che negoziava con Jordan venne meno all’impegno, (4 milioni di dollari..) facendo sfumare la possibilità. Lo stesso anno gli fu chiesto di testare la Lola Indycar di Dick Simon sul circuito di Laguna Seca, e lo fece girando ad un decimo di secondo dal tempo del Campione Michael Andretti. La sorprendente prestazione lo portò ad impegnarsi come collaudatore per il Team di Simon. Cioè, non facciamoci mancare niente…

 

Roland Ratzenberger con Dick Simon Racing in CART

Roland sulla Lola di Dick Simon Racing

Il Giappone era ormai la sua seconda patria, e nel 1992 la Formula Nippon lo accolse a braccia aperte. Corse col Team Stellar, arrancando nelle retrovie con un telaio vecchio di due anni.. Poi, dopo l’aggiornamento della monoposto iniziò a raccogliere risultati, agguantando un’inaspettata pole e la vittoria da dominatore a Suzuka, concludendo settimo in Campionato davanti ad Eddie Irvine. L’anno successivo però, con una vettura sempre meno performante, Ratzenberger scivolò all’undicesimo posto finale..
Mentre qualsiasi altro pilota della sua età si sarebbe potuto adagiare, o peggio, perdersi d’animo e venire dimenticato, risucchiato da quello sconosciuto e lontano palcoscenico, Roland “The Rat” continuava a fare di tutto per rincorrere la Formula1: pare chiedesse insistentemente ai giornalisti inglesi che seguivano quel campionato di parlare di sè, di mandare oltreoceano i racconti delle sue gare. Anche lontano chilometri, Roland lottava per la Formula1, riuscendo a tenersi uno spiraglio aperto sull’Europa.

E il sogno si realizzò.

Barbara Behlau, Roland Ratzenberger, David Brabham

Con David Brabham, Barbara Behlau e il suo inconfondibile casco

 

Fu grazie ad una sport-manager, Barbara Florentine Behlau, che “The Rat” sarebbe approdato in Formula1. “Barbara” sarebbe stato il nome che Roland Ratzenberger e David Brabham avrebbero portato sulla presa d’aria del Ford-Cosworth della loro Simtek S941.

Nick Wirth aveva progettato quella monoposto per l’utilizzo delle sospensioni attive, ma dovette poi ridisegnarla in fretta dopo la massiccia abolizione dell’elettronica dalla F1. Ne venne fuori una vettura standard, con prestazioni deludenti.
Non che la cosa importasse molto a Ratzenberger: grazie all’appoggio della Behlau avrebbe avuto la possibilità di correre i primi 5 Gran Premi, e tanto bastava per poterci lavorare. La vettura faticò all’inizio, in Brasile, ma ci mise poco a prendere il ritmo della diretta concorrente nella lotta alle pre-qualifiche, la Pacific-Ilmor guidata da Bertrand Gachot e Paul Belmondo.

 

Roland Ratzenberger su Simtek S941

 

Tre settimane più tardi, Roland tornò nel “suo” Giappone. Per correre il GP del Pacifico, al TI AIDA Circuit. Quale occasione migliore per guadagnarsi un posto in griglia di partenza. Ci riuscì, siglando un tempo di 4 decimi migliore di quello di Gachot..

E così, il 17 Aprile del 1994, Roland Ratzenberger, da Salisburgo, era sulla griglia di partenza di un Gran Premio di Formula1. E portò la monoposto al traguardo, in 11ma posizione, a 5 giri di distacco da Michael Schumacher, vincitore del GP.

 

Ratzenberger

 

Di Roland Ratzenberger sapevo le cose lette su Autosprint. Lavorava duro, era un pilota affidabile. Sapevo che veniva dalla F3000 Giapponese, come Eddie Irvine: avevo ancora negli occhi il clamoroso esordio in F1 del giovane Irlandese a Suzuka 1993 e m’ero fatto la strana idea che da lì venisse solo gente matta e velocissima, forte sul bagnato, imprevedibile. E poi avere Mtv come sponsor sul cofano motore era una roba fica: un mio amico aveva la TV satellitare, e da lì registrava videoclip da guardare insieme, merce rara, roba esclusiva, da malati. Insomma adottai la Simtek, l’ultima degli ultimi. Poteva di certo battere quella Pacific-Ilmor guidata da uno che pesava 90chili e da un altro che era figlio di un attore. Era una monoposto lenta, ma ai miei occhi romantica, quasi mitica.

Sul piccolo televisore portatile non faticai molto a distinguere quella vettura che strisciava a pezzi sul prato, all’interno della Tosa. Era la Simtek, era Ratzenberger. E non c’era nulla di mitico, nè romantico in quelle immagini, non c’era poesia in quel vacillare molle e senza vita del suo casco col disegno della bandiera austriaca. La televisione dei giorni nostri ci racconta che certi incidenti avvengono al rallentatore, con una colonna sonora così commovente, e così dolce da poter disperdere l’energia dello schianto poco alla volta, accompagnando la vettura a baciare il terreno delicatamente, strappandoci piano una lacrima.

Io ricordo quelle immagini improvvise, e il silenzio. E poi l’assenza di tempo, e di movimenti, e di parole.

Ricordo di non essermi sentito mai così lontano dal mio amato sport, eppure mai così vicino ad un pilota. Quel pilota alto e sorridente, col casco bello con i colori del suo Paese. Ancora oggi conservo la sensazione provata in quei giorni terribili, e cerco di tenermela stretta.

Fu allora che i piloti diventarono i miei eroi.

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2 risposte

  1. Giuseppe ha detto:

    Grazie per il tuo bellissimo ricordo. Non conoscevo Ratzemberger, ma ciò nonostante ogni anno in questa data ho sempre ripensato a questo sfortunato pilota.

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