La Formula della felicità
Il Motorsport è al centro di un sistema planetario: tanti mondi che gli girano attorno, ognuno di essi con le sue peculiarità, le sue emozioni ed esperienze da regalare. Ieri ne ho scoperto uno nuovo di questi pianeti e nulla sarà più come prima.
Poco più di tre anni fa, dopo la mia surreale esperienza ad Hockenheim per l’ultima gara della F3 Europea, scrissi, sempre su queste frequenze, “l’unico step successivo possibile è che mi facciano salire su una monoposto e mi dicano ok, ora corri!”. Lo scrissi così, con vezzo. Senza nemmeno pensare che una cosa del genere potesse accadere sul serio.
Tre anni dopo questa cosa è successa.
Tutto inizia il Natale di due(!) anni fa quando la mia ragazza, resasi conto che il sottoscritto non sa stare senza Motorsport, trova il regalo perfetto: un buono per fare un giro a Monza con una Lamborghini Huracán. Un regalino molto gradito, per usare un eufemismo. Subito faccio l’upgrade per aggiungere altri due giri. Condividendo la cosa con il buon Mauro e mostrandogli gli altri circuiti disponibili mi fa:
Nel frattempo il mondo va sottosopra e l’evento già prenotato, ossia 3 giri in Huracán al Mugello nel maggio 2020, va purtroppo rimandato a data da destinarsi. Passano quasi due anni e finalmente diventa più facile muoversi e pianificare cose, soprattutto al di fuori dei propri confini nazionali. Posso finalmente usare il mio preziosamente custodito voucher e decido di fare un ulteriore upgrade: altri due giri, per un totale di 5. Sempre al Mugello. Con una monoposto. Per la precisione trattasi di una Formula Renault 2.0 con telaio Tatuus.
Come il Natale per un bambino inizia un’attesa interminabile, un countdown, il tutto dettato dalla continua visione di video su YouTube “Formula Renault Mugello” e di saltuari giri al simulatore di casa su Assetto Corsa con una Formula Abarth sullo stesso circuito, giusto per avere un’infarinatura di quello che mi aspetta.
Mi aspettano curve cieche, saliscendi, un rettilineo infinito ed una prima curva, la San Donato, che non è mica da ridere. Il Mugello è una pista tecnica e veloce, con delle curve leggendarie che vanno trattate con rispetto, così come con rispetto va trattata una monoposto con gomme slick da far partire a freddo, senza alcuna esperienza pregressa nella realtà. L’attesa come il Natale di cui sopra viene alternata con una certa dose di preoccupazione, sentimento sicuramente più da adulto rispetto al primo.
L’attesa è finita, qualche giorno prima del grande evento arriva la mail di convocazione al circuito alle 7:30 di mattina. Questo impone un pernottamento comodo in zona Scarperia. Non so se ho avuto più timore nell’andare in pista con una monoposto o nell’affrontare le sconosciute strade di campagna tra Firenze e Scarperia di notte.
Sia nell’albergo che nel ristorante dove ceno la sera prima mi ritrovo circondato da autografi, cappellini ed altri cimeli di piloti, soprattutto della MotoGP. È una sorta di antipasto a quello che sarebbe accaduto il giorno dopo. Si inizia a entrare nel clima.
Riesco clamorosamente a prender sonno seppur pensando tutto il tempo “domani guido una monoposto al Mugello” e mi sveglio alle 6:30 in modo da poter esser pronto alle 7 per la colazione e poter arrivare al circuito in tempo, distante solo 10 minuti. Alle 7:30 spaccate sono davanti l’ingresso del circuito ed è già la prima scarica di adrenalina. È possibile entrare con l’auto direttamente nel paddock e mi ritrovo dentro il retro-box dell’Autodromo del Mugello, praticamente vuoto, con le luci dell’alba ed il silenzio attorno.
Sbrigate tutte le parti burocratiche di registrazione, firme e controfirme, ho finalmente accesso alla corsia box del Mugello. Di nuovo il silenzio, il vuoto sugli spalti, le prime luci del mattino, quel po’ di freddo ed umido classico di una mattina autunnale delle campagne toscane. Dai box ancora chiusi intravedo la monoposto che dovrò guidare.
È un continuo emozionarsi e non crederci. Mi forniscono tuta ignifuga, scarpe e sottocasco. Ancora un po’ frastornato da questo vortice di emozioni non mi sto ancora rendendo conto del tutto. Credo di essermi reso realmente conto che era tutto vero quando mi sono visto in uno specchio nei bagni del box con addosso la tuta. In quel momento ho realizzato.
Il mio turno di guida è alle 12:30, poco prima della pausa pranzo, nel mentre devo ingannare l’attesa. Guardo prima le auto GT (tra cui la Huracán che avrei dovuto originariamente guidare). Superano agilmente i 200 km/h sul rettilineo principale. Chiedo all’istruttore delle monoposto se a guidarle sono già i clienti o gli istruttori che normalmente ti affiancano durante la sessione. Lui quasi stupito mi risponde “ovvio che sono i clienti, che ti credi?”
Nel frattempo l’istruttore di cui sopra carica noi clienti delle Formula su un normalissimo van e ci porta a fare dei giri di ricognizione per mostrarci la pista ed i riferimenti. Immaginate un van a diesel con 6 persone a bordo che inizia a prendere curve come la Casanova-Savelli e le Arrabbiate con le ruote che stridono sull’asfalto, mentre l’istruttore/conducente con tranquillità parla e ci mostra i punti in cui frenare e girare.
“Alla San Donato (prima curva in fondo al rettilineo) dovete frenare quando vedete il cartello dei 100 metri”. 100 metri. Alla fine del rettilineo del Mugello. “In questa curva (Arrabbiata 2) alzate per un attimo l’acceleratore ed entrate dentro quando finisce il cordolo esterno orizzontale ed inizia quello verticale.” In pratica quando finisce il dritto.
Finiti i giri nel van (aggrappato alla maniglia sopra il finestrino) torniamo ai box. Inizia il turno di giri delle Formula, o meglio quello precedente al mio. Ci sono la “mia” Formula Renault 2.0, 5 F3 Dallara (quelle dell’Europeo) ed una GP3 che girano in contemporanea. Semafori verdi e dopo nemmeno un giro subito bandiera rossa. Il mio predecessore a bordo della Formula Renault ha perso la monoposto dopo 3 curve. Riesce a ripartire e a tornare ai box. Mi fa segno di avvicinarmi. “Il pedale dell’acceleratore è sensibilissimo, appena lo tocchi dà un sacco di gas, mi sono girato in accelerazione in un cambio di direzione”. Sapendo che la sua mossa era stata alquanto avventata (eravamo stati ampiamente preavvisati di NON usare il pedale dell’acceleratore senza avere la macchina dritta soprattutto a gomme fredde) ero comunque intimidito da un consiglio più che prezioso.
Pochi minuti e riaprono la pista. Bandiera verde e di nuovo dopo nemmeno un minuto nuova bandiera rossa. Tornano tutte le monoposto ai box tranne una. Un pilota amatoriale di F3 che era in pista con noi per dei test privati aveva letteralmente spiaggiato la sua Dallara nella ghiaia, tanto che hanno dovuto riportarla ai box col carro attrezzi.
Inizio ad avere più di una preoccupazione. Se persino un pilota, seppur amatoriale (semicit.), perde la monoposto malamente nel giro di uscita, significa che la pista è davvero infame, soprattutto in condizioni particolarmente ostiche (temperature basse e poca gomma in traiettoria). Ripulita la pista riaprono per la terza volta la pit lane. Finalmente la sessione riparte senza essere più interrotta, se non per far spazio alle vetture “stradali” (Lamborghini, Ferrari, Porsche e Mercedes, tutte sopra i 500cv). Il mio predecessore nel frattempo si avvicina per darmi un altro consiglio/avvertimento: “fatti stringere il casco più che puoi, altrimenti sul dritto l’aria te lo tira su e non vedi più nulla.” Condivide con me le sue sensazioni, in parte anche le sue frustrazioni, dopo i suoi 10 giri. Mi dice in quali punti ha avuto più problemi, cerca di spiegarmi le sensazioni che ha provato.
Verso mezzogiorno mi chiamano per fare la prova sedile, posizionare gli specchietti e spiegarmi un paio di cose. Inizia a salire quella giusta dose di tensione mista ad impazienza mista ad eccitazione. Voglio divertirmi, voglio andare veloce senza causare bandiere rosse, voglio andar forte senza interessarmi dei tempi o della velocità assoluta. Inizio ad andare in un tunnel mentale in cui cerco di concentrarmi, di tenere a bada gli istinti. L’istinto è il vero nemico in una situazione del genere.
Hans, casco, guanti. Mi spingono fuori dal box. Il meccanico mi fa segno con la mano che devo dare gas, ne do un po’, lui mi dice di salire ancora di più, ne do di più, mi fa segno che posso lasciare la frizione e la rilascio pian piano. Sto uscendo dalla pit lane del Mugello. Sono in pista al Mugello su una monoposto.
Mi prendo un giro di tempo per prendere le misure, capire l’auto, prendere sensibilità con i pedali. Solo uscendo dall’ultima curva, la Bucine, vado per la prima volta a gas completamente spalancato. Al secondo giro inizio a prendere già più confidenza e velocità, a tirare di più le marce. Quando sto per lanciarmi per il terzo giro, un commissario in uscita dalla Bucine sventola la bandiera rossa. Alzo subito il braccio per far segno che sto rallentando e rientrando.
Di nuovo semafori verdi dopo un minuto scarso, riparto già con un po’ più di confidenza rispetto alla prima partenza e dopo un paio di curve riprendo ad alzare il ritmo, inizio a portare i giri del motore più in su, a fare qualche scalata più “rumorosa”. Al quarto giro decido di fidarmi dell’istruttore: in fondo al rettilineo guardo i cartelli:
300 metri – “non frenare.”
200 metri – “non frenare ancora…”
100 metri – “FRENAAAA”
butto giù il piede sinistro, scalo tre marce, entrano tutte, entra anche la macchina in curva, senza il minimo problema. Questa è la sensazione più bella, al tempo stesso la più brutta che si possa provare in quei momenti. Ti senti in controllo del mezzo, ma senti anche che di margine ce n’è e devi bloccare l’istinto di andarlo a cercare. Nelle curve successive prendo qualche “rischio”, penso di essere leggermente troppo veloce in curva, non mi resta altro che sterzare e buttarla dentro. Finchè non vedi la ruota anteriore prendere il cordolo senti solo la macchina entrare in curva mentre il tuo corpo viene catapultato verso l’esterno. Poi vedi che la macchina, di nuovo senza problemi, la curva l’ha fatta e sei lì in un limbo tra “ok, mi è andata bene” e “ma quindi ho ancora margine”. Ancora una volta il secondo di questi pensieri va stanato, non puoi e non devi rischiare.
Sul finire del mio quinto giro ecco un’altra bandiera rossa. Il motivo? Una Formula 1(!), la Arrows del 97 (con un motore V8 Cosworth depotenziato, ovviamente) si è girata alla curva Scarperia.
Mi ributtano in pista dopo pochi secondi per altri due giri “abbonati” per via delle bandiere rosse e riprendo lo stesso ritmo e gli stessi riferimenti dei due giri precedenti. L’auto continua ad andare dove dico io, più veloce prendo le curve e più velocemente l’auto entra in curva. Le Arrabbiate le faccio senza più remore, togliendo solo il piede dall’acceleratore in ingresso curva. La compressione che si sente nella Arrabbiata 2 mentre sali è senza senso.
È tremendo, ogni volta che ho pensato “vabbè, questa volta l’ho persa, ma vabbè buttiamola in curva, che devo fare…” la Formula Renault va dentro senza la minima sbandata, senza sotto- o sovrasterzare. Non ha senso la deportanza che generano queste auto.
Dalla mia esperienza sugli sci e lo snowboard sono letteralmente preoccupato: il momento in cui prendi fiducia sulla neve è il momento in cui più facilmente cadi male. D’altronde è risaputo che essere esperto di sci ti rende automaticamente un esperto di motori… Scherzi a parte non voglio avere quella stessa sensazione di fiducia nel mezzo che poi ti tradisce e causa una bandiera rossa. Voglio solo divertirmi e portare la macchina ai box. Con mia enorme soddisfazione ci riesco.
Esco dall’auto con un vortice di pensieri e adrenalina. Penso e ripenso a quanto sia assurda la velocità che queste monoposto siano capaci non tanto di generare sul dritto, bensì di portare in curva, senza il minimo risentimento, nonostante la forza centrifuga porti il peso del mio corpo da tutt’altra parte. Penso al pedale dell’acceleratore che in qualunque marcia, a qualunque regime di motore dà sempre potenza immediata. Penso a cosa debba allora significare portare una macchina del genere davvero al limite, al netto della forza fisica che richiede, al netto delle vibrazioni che non ti fanno vedere nitidamente tutti i dettagli della pista, al netto di due minuscoli specchietti che vibrano più della macchina stessa. Come diavolo si fa. Mi dicono che in fondo al rettilineo in condizioni ideali queste auto possono staccare ai 35 metri. Trentacinque. Ma come diavolo si fa. Lasciamo stare altre monoposto ancora più impegnative come le F3 o peggio ancora le F2. Della Formula 1 non parliamo nemmeno, lì siamo già nel campo del paranormale. Esci da un’esperienza di 6 giri da una monoposto apparentemente “innocua” che ti si apre un nuovo mondo nel sistema planetario Motorsport di cui sopra.
Il resto del pomeriggio lo passo ancora nei box, tra l’incredulo ed il sopraffatto per le sensazioni provate, trovo il tempo per scambiare un paio di battute con l’istruttore, l’ingegnere ed uno dei piloti F3 che era lì per dei test. Mi dice che Spa dal vivo è impressionante. Io gli faccio “eh immagino, Eau Rouge, Radillon…” e lui mi interrompe dicendomi che non sono i punti peggiori della pista. Ammette che ci sono stati altri punti che gli hanno fatto davvero paura all’inizio, come ad esempio la fine del Kemmel, prima di frenare: “alla tua sinistra hai un cordolo, tanto così di erba e poi il muro, in fondo al rettilineo sei a tanto così dal muro, capisci?”.
Questa è la vera essenza della giornata: condividere la propria passione. Condividere le stesse sensazioni con gli altri fortunati come me ad aver avuto una tale opportunità. Condividere i propri pensieri con degli “addetti ai lavori”, sapendo che in un modo o nell’altro da una conversazione anche di pochi minuti puoi uscirne arricchito. Poco dopo le 15 lascio il circuito, leggero, come se camminassi a 3 metri da terra, con la pace interiore ed un sorriso che non vorresti mai toglierti di dosso.
Ho scoperto un nuovo mondo nel Motorsport e la cosa mi fa quasi paura, perché al tempo stesso ho scoperto la Formula della felicità. E nulla sarà più come prima.