Le macerie di Sepang
Se ne parla ormai da oltre 36 ore e se ne parlerà ancora a lungo, di sicuro oltre la gara di Valencia che, a prescindere da come andrà a finire, sarà un vespaio di polemiche.
Rossi e Marquez. Una ginocchiata volontaria, cercata, attesa e liberatoria dell’italiano. Una provocazione continua, insistente ed estenuante dello spagnolo.
Chi ha sbagliato? Tutti e due a mio modesto avviso.
Valentino ha atteso di confidarsi con la stampa italiana giovedì, dopo la conferenza, per far esplodere la bomba del sabotaggio. “Mi ha ostacolato in Australia“, questa, in sintesi, l’accusa di Rossi nei confroni di Marc. Un gioco psicologico che si è ritorto contro Rossi.
Marquez ha accusato il colpo in silenzio, senza clamori, chiedendosi come fosse possibile favorire Lorenzo in Australia portandogli via la vittoria, per poi servire la vendetta direttamente in pista, là dove i protagonisti sono i centauri e non i media o i tifosi delle rispettive fazioni.
C’è stata la volontarietà di Rossi nello scalciare Marquez? Si. C’è stata la volontarietà di Marquez nel rallentare Rossi? Si. Pareggio? Beh, stando a quanto letto sui social, no.
Una prima considerazione è d’obbligo. Chi ne esce sconfitto da questo duello rusticano è il piacere sportivo. Mi preparavo ad assistere ad un finale di mondiale da brivido, con i nervi tesi tra i due compagni di team, ed invece mi è stato scippato il gusto dell’attesa. Non dalla direzione gara che ha giustamente punito Valentino, ma da Rossi, Marquez e Lorenzo.
I primi due hanno deciso di prendersi a schiaffi (metaforicamente) in conferenza ed in pista, in una lotta non per il mondiale, ma per chi dovesse essere il re indiscusso del Motomondiale. Un duello che ha finito per rovinare quel finale di stagione tutto in salsa Yamaha con Marquez meteora impazzita. Il terzo ha perso l’occasione di farsi gli affari suoi invocando una giustizia sommaria che poco si addiceva ad un clima già avvelenato.
Vale e Marc sono fatti di quella pasta bastarda di cui solo i fenomeni sono creati. Un DNA unico, una miscela che si crea poche volte nel corso degli anni e che ha visto unirsi in questo circolo di predestinati un ancora rimpianto Casey Stoner. Lorenzo forse pecca in un’unica cosa. E’ si veloce, ma senza quel guizzo che ti fa balzare sul divano.
Marquez è un Rossi 2.0. Stronzo tanto quanto l’italiano ed altrettanto ferocemente assetato di vittorie in pista. Rossi l’ha capito prima di tutti noi ma, negli scorsi anni, ha fatto buon viso a cattivo gioco, impossibilitato a contrastare lo strapotere dello spagnolo e della Honda.
Quando la Yamaha ha reso competitiva la M1 e Rossi è stato in grado di lottare per il titolo, i sorrisi e le pacche sulle spalle sono spariti per tramutarsi in frecciatine, traiettorie chiuse di netto e tagli di chicane.
Il Contatto (proprio con la C maiuscola) ha avuto un’ulteriore conseguenza. E’ uscito fuori, sui social e sui media, il peggio del peggio dell’essere umano. Domenica mattina era impossibile prendere le difese dell’uno o dell’altro su Twitter e su Facebook senza essere insultati o minacciati. Gli hooligans di Rossi hanno iniziato a difendere a spada tratta il loro beniamino, come se Valentino avesse avuto bisogno di migliaia di avvocati virtuali per legittimare la propria follia. I detrattori di Rossi sono stati attaccati dagli hooligans, vedendosi accusati di non capire nulla di motociclismo, di sport, di vita.
I media, cavalcando l’onda della sommossa popolare, hanno ripreso i singoli fotogrammi del Contatto per analizzare al millisecondo chi tra Rossi e Marquez avesse torto o ragione senza, tuttavia, riuscire a riportare il tutto nel giusto contesto, ovvero quello sportivo. Peggio ancora ha fatto il Corriere dello Sport oggi a firma Jacobelli che ha dato benzina all’hastag #iostoconvale pubblicando tweet indemoniati di capi ultras rossiani che incitavano alla battaglia contro la Spagna. E pensare che fino a stamattina, grazie alla classe del solito Paolo Scalera si era riusciti a leggere proprio sul CdS la migliore analisi di quanto accaduto in pista.
A mente fredda mi viene da dire che stiamo perdendo il lume della ragione. Capisco benissimo che i social sono diventati il pisciatoio pubblico dove ognuno sgrulla fuori la propria opinione senza filtro, facendosi grosso e cazzuto dietro uno smartphone, ma stiamo pur sempre parlando di sport.
Anzi, stiamo parlando di motorsport e, nel corso di questi ultimi anni social, ho capito che il motorsport non è per tutti.