Storia di un outsider
C’è un ragazzo di 24 anni seduto sul gradino più alto del podio, ha una mano che gli copre lo sguardo e un sorriso che gli si apre sul volto. Al suo fianco ha la coppa del vincitore ed è circondato da coriandoli tricolore fradici di champagne. Lo si guarda e pur non potendo immaginare le emozioni che gli stanno passando per la mente lo si riesce a comprendere.
È impossibile non provare un forte senso di empatia per Pierre Gasly, perché Pierre Gasly è la metafora dell’uomo che sa ricostruire sé stesso dopo aver fallito.
Quella del pilota francese a Monza è una vittoria storica, figlia dell’imprevedibilità di una F1 che avrà sicuramente tanti difetti ma che trova sempre il modo di farci emozionare. Sono bastate una Safety Car, una chiamata ai box anticipata e una bandiera rossa a rimescolare le carte e a far girare la roulette, fermatasi sul “10”. Fortuna? Indubbiamente. Ma le chance offerte dal caso bisogna anche saperle sfruttare e Pierre si è fatto trovare pronto. È riuscito a vincere costruendo il margine di vantaggio sul resto del gruppo nei primi giri successivi alla ripartenza, gestendo il suo passo gara e resistendo nelle tornate finali alla pressione della macchia arancione di Carlos Sainz Jr., che via via andava ingigantendosi nei suoi specchietti.
Negli ultimi giri Gasly aveva al suo fianco la spinta di una nazione, la Francia, che non vedeva un suo pilota vincere un GP dal ’96, aveva con sé il tifo di chi lo segue dalle categorie minori, l’incoraggiamento di chi magari non lo aveva mai tifato con particolare ardore prima di allora ma in quel momento sentiva di dover simpatizzare per quel pilota che stava andando alla ricerca della sua giornata di redenzione. Un po’ perché in una Formula 1 comandata dall’astronave Mercedes e dal despota (iperbole, ça va sans dire) Lewis Hamilton, fa piacere vedere una squadra e un pilota abituati a sgomitare nel midfield che vivono il loro giorno di gloria. Un po’ perché fra Davide e Golia, il pubblico tende sempre a parteggiare per Davide, perché le imprese degli underdog hanno un intramontabile fascino.
La vittoria di Gasly emoziona perché è la vittoria di un (ex) perdente, di un ragazzo scartato con troppa fretta che ha saputo risalire la china con costanza e pazienza, ponendo le basi, mattone su mattone, per i suoi recenti successi. Il suo podio in Brasile lo scorso anno sembrava l’apice della rinascita, ma poi è arrivata la storica vittoria a Monza. Nel mezzo, un 2020 da applausi, durante il quale è riuscito a capitalizzare al massimo il potenziale in ogni gran premio, lavorando di fino durante il weekend e raccogliendo i risultati in gara. Quella di Gasly è la vittoria di un ragazzo normale, mai fuori dalle linee, mai troppo alla ricerca delle luci dei riflettori. È la vittoria di un ragazzo che ha sofferto la perdita di un amico e fratello minore come Anthoine Hubert, e che dalla sofferenza ha saputo trarre la forza per migliorare sé stesso, per dimostrare quanto vale anche a chi non è più qui a poterlo ammirare.
Quella di Gasly è la storia di una sconfitta e di una rinascita, di una crescita graduale che ha come stella polare la voglia dimostrare ogni domenica di essere più forte della domenica prima. Quella di Gasly è la storia di un outsider, è la storia di “quello che non ti aspetti”. Una di quelle che ti fanno amare quella F1 tanto vituperata alle volte, ma che non smette mai di stupire.